Come eravamo : Firìti quest’àrma.

La Redazione & Minucciu

“Ferìti, ferìti, ferìti quest’àrma,

ferìti quest’àrma che càvuza nnì fu”.

“Nò bbì s’chantràti”, non sto storpiando il nostro dialetto. Ho solo descritto, quasi fedelmente, le strofe che zù Nicola, con la sua voce baritonale intonava, in accompagnamento alla processione del Cristo morto, “à matìna prièstu dò vènnìri sàntu”. Non era il solo a cantare, anzi. A quei tempi, accompagnare il Cristo e l’Addolorata nella processione che iniziava all’alba era un obbligo morale, pari a quello di seguire la processione del santo patrono. Un appuntamento al quale nessun sandonatese, di tutte le età, non voleva ne poteva mancare. Si potrebbe obbiettare che, se era un obbligo, perché citare il solo zù Nicola? Lo cito ad esempio di come alcuni sandonatesi si preparavano ad affrontare una processione faticosa, per impegno muscolare (trasporto del pesante simulacro del Cristo morto) e per impegno canoro (i canti sacri), tutte attività che non venivano facilitate dalle pendenze paesane che, nel caso in esame, venivano affrontate “à càpadièrtu” se teniamo in conto che la processione vera “ncùminciàvadi dò càlivàriu”, sùtta i Girùni e jèdi ppì tùttu ù pajìsi , pùru ancùna dè vanèddhi, fìnu àra tèrra”. Continua a leggere

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Avviso …Importante !!

La redazione

Amici Sandonatesi,

Il giornale interattivo di San Donato di Ninea :  http://www.sandonatodininea-cs.it

necessita di nuovi blogger con passione e entusiasmo per assicurare un’informazione libera e fresca, se siete interessati scriveteci a:

sandonatodininea@hotmail.it

 

 FATEVI AVANTI.

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Meditate…potrebbe essere il nostro turno !!!

La redazione & Diritto di Cronaca

Esodati in ginocchio. L’ex Presidente del Consiglio Giorno accusa la Regione e chiede aiuto

SAN LORENZO DEL VALLO – «Cari politici, mentre voi continuate a litigare, a discutere di alleanze, a dire “con questo sì, con questo no”, io continuo lentamente a morire». Il drammatico e allo stesso tempo commovente sfogo di Angelo Giorno colpisce dritto nello stomaco, come un montante messo a segno da un pugile esperto. Non dà scampo. Ti lascia a terra, in ginocchio, senza respiro né parole. La sua storia è uguale a quella di migliaia di altri italiani, ma non per questo meno triste. La sua voce ripete una musica stonata che regala emozioni. E’ uno dei tanti “figli” della crisi, uno di quegli esodati creati e abbandonati sull’altare dell’ennesima riforma pensionistica tesa unicamente a penalizzare chi ha vissuto lunghi anni di sacrifici e lavoro. La mortificazione e l’umiliazione sono ormai l’unica vera pensione. «Ho 62 anni – lamenta Angelo – e mi ritrovo senza lavoro e senza pensione. Ma chi dovrebbe occuparsi di me e degli altri esodati, si diverte piuttosto a litigare per una poltrona e a bruciare, giorno dopo giorno, con la propria indifferenza, un pezzettino della mia dignità». E’ un donatore dell’Avis, in passato è stato per circa vent’anni consigliere comunale e, addirittura, presidente del consiglio – e oggi ha semplicemente bisogno di aiuto. «Sono una persona che ha sempre fatto il proprio dovere – rivendica con orgoglio – Ho lavorato duramente per 38 anni e sette mesi presso l’Arssa, ma forse i miei guai sono cominciati quando nacqui». Lo stesso racconta, infatti, che, pur essendo in realtà nato il 28 novembre 1951, i suoi genitori, secondo un espediente a  quell’epoca (quando la maggior parte dei figli nasceva a casa piuttosto che in ospedale) molto in voga, lo “rivelarono” soltanto il 2 gennaio 1952. «E questa data – commenta quasi sconsolato – è risultata, ahimè, fatale per il mio destino». Ha gli occhi lucidi e il tono della voce tradisce una sofferenza impressa nel volto. Una sigaretta consumata in tutta fretta è solo un alibi, non una via di fuga. Pressato dalle banche e dai creditori, abbandonato da coloro che credeva fossero suoi amici vive nell’attesa e nella speranza. Di chi o di cosa, beh, questo non lo sa davvero. La sua esperienza con la povertà è una tortura dalla quale tenta disperatamente di fuggire. «Mi ritrovo senza via d’uscita – denuncia Angelo – Ma, soprattutto, dopo lunghi anni di lavoro nell’agenzia regionale per i servizi di sviluppo agricolo la Regione Calabria ha preferito dimenticarsi di me. Altri, invece, i soliti furbi, hanno fatto carriere favolose pur non avendone i requisiti: si è preferito sperperare denaro pubblico. Adesso è, probabilmente, arrivata l’ora di fare chiarezza su tutto questo». Mantenere la moglie e i due figli ancora a casa è diventata un’utopia. «Il mio – scrive con rabbia – era l’unico stipendio. E adesso come devo fare? Sono distrutto. Per fortuna – ammette – la fede corre in mio soccorso ogni qual volta mi frulla per la testa qualche strana idea». Senza Pasqua né resurrezione alcuna. «Mi hanno tagliato la corrente elettrica – aggiunge Angelo, sempre più affranto e depresso – e per tirare avanti sono stato costretto a rivolgermi alla Charitas». Anche la salute continua a mostrare i primi segni di cedimento. «Per fortuna – dice, accennando quasi un sorriso – da un po’ di tempo c’è una persona dal grande cuore che mi sta dando una mano. Ma per uscire definitivamente da questo dramma e recuperare del tutto la mia dignità serve ben altro». Avere il coraggio di raccontare la propria sofferenza e di chiedere aiuto, senza inutile timore né assurda vergogna, questa sì che è dignità.

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AVVISO PUBBLICO

La redazione…

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Il mio Paese…San Donato di Ninea

La Redazione & Elio

Scrissi questa poesia martedì 6 novembre 2012, due giorni dopo essere stato alla Sagra della Castagna a San Donato. Ad ispirarmi furono le parole di alcuni dei tanti partecipanti non sandonatesi che sentii mentre scendevo dalla Sellata verso il Giardino. Guardandosi intorno, si chiedevano come fosse possibile vivere in un paese così malridotto. Quelle parole furono per me una vera e propria coltellata al cuore…

Piangi, amore mio!
Ciò che un tempo fosti,
donna, amante, madre
giace logoro nel
cimitero dei ricordi.

Cerco nell’aria i tuoi odori
forti, di tini ripuliti
dalla vinaccia,
trabordanti di frutti gonfi
luccicanti al sole.
E con loro i visi conosciuti,
mai troppo stanchi,
sempre pronti
a distendersi in sorrisi.

Cerco i tuoi sapori
mai dimenticati.
Di terra viva, feconda
amata e coccolata,
protetta e carezzata.

Non li trovo,
un dubbio mi assale.
Che sia un sogno
o che morte abbia
vinto, me o te.

Eri bella, di semplicità
vestita, accoglievi
materna i tuoi figli
al riparo della tua veste bianca.

Nel luccichio della festa,
tra suoni, canti e visi,
effimeri e stranieri,
tu piangi,
offesa e vilipesa.

Più in là, dove la luna incontra bassa
le chiome dei tuoi figli prediletti,
all’ombra di un noce e di un castagno,
un branco di lupi lotta furente.

Mordono, strappano, lacerano
ciò che resta di un bel vestito bianco.
Il tuo. Piangi, amore mio.

helios

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Come eravamo : Quìri chì ccì l’ànu fàtta.

La Redazione & Minucciu

“Vijàta à ghìddhu e vijàta àra màmma ch’à fàttu”. Tante volte ho udito questa frase, pronunciata dalle anziane sandonatesi a mo di viatico e di benedizione nei confronti di un compaesano che, mettendo a profitto la propria intelligenza e con applicazione e sacrifici, si era fatto valere ed aveva conquistato una posizione di prestigio e responsabilità, dando così lustro alla propria casata e, di riflesso, anche al paese.

La stessa frase mi è tornata alla memoria nel corso di approfondimenti sull’economia sandonatese quando, svolgendo ricerche sulla bachicoltura, mi sono imbattuto in citazioni e frammenti di vita riguardanti il sandonatese Luigi Alfonso Casella (1865- 1945) che della sericoltura calabrese è stato, al suo tempo, una figura chiave.

Sia prima che dopo l’unità nazionale, in San Donato, (così come in altre realtà calabresi) l’allevamento del baco da seta è stata una delle voci importanti dell’economia locale, il tanto da indurre la coltivazione del gelso anche in alcune aree interne all’abitato del paese, (cito ad esempio quella in località Sàmmicuòsu sul retro dell’abitazione i zìu Pascali i vihjèli) perché di foglie della pianta del gelso erano formate le lettiere su cui venivano allevati “ì sìrichi” che delle medesime foglie si nutrivano.

L’economia calabrese ha sempre sofferto l’assenza di infrastrutture ed investimenti, le prime addebitabili alla “latitanza” del potere centrale ed i secondi alla mentalità “sparagnina”della nobiltà latifondista ed alla scarsa inclinazione al rischio dell’investimento della borghesia. La situazione di stallo regionale permaneva anche nel sandonatese, la cui realtà economica era caratterizzata da produzioni rurali quali cerealicoltura, castanicoltura, viticoltura e olivicoltura uniche compatibili con un terreno montagnoso, giudicato dai più ed a torto, poco fertile, in realtà oggetto di tecniche agricole antiquate. Continua a leggere

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LA SANTA PASQUA di Francesco Ponzo”Sparacito”

La redazione

Serene festività Pasquali a tutti
con l’augurio che ogni giorno sia per tutti noi la resurrezione dei valori umani nei nostri cuori !!!
AUGURI di cuore a tutti  gli amici e famiglie e tutti i fedeli  lettori del nostro G.I.
Rendendo omaggio al nostro poeta “Francesco i Sparacito”
vi auguro a tutti una buona PASQUA con una delle sue bellissime poesie
Luigi

LA SANTA PASQUA
Con mani giunte s’inchina all’Altare
Il fedele e comincia a pregare.
La gioia più grande nel cuore che sente,
Per la gloria di Dio che risplende.
La Santa Pasqua é messagio d’amore
Che Dio ci dona, ch’é nostro Signore
Per far si che possiamo capire
Che per noi Egli volle morire,
E ancora per noi  volle risuscitare
Per proteggerci ed insegnarci ad amare
Il nostro prossimo ,e da cio dedurre
che al bene bisogna il pensiero condurre,
Poiché non c’é cosa più grande
di cio che spande continuamente e rispande
Quei sentimenti che nascono nell cuore,
Per dare al mondo affetto e calore .
Guidarci Tu vuoi,noi lo sappiamo,
In cambio Signore tant’amore Ti diamo ;
Tu ai Tuoi figli assai bene vuoi ;
Tu che sei grande e tutto Tu puoi .
La Tua luce c’illumina e fiducia c’infonde,
fiducia grande che giammai si confonde.
Goria a te ,o Signore risorto
Dacci la forza di non far’TI mai torto

Francesco Ponzo  « Sparacito »

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La sorgente Capo d’Acqua di San Donato di Ninea

La Redazione & Diritto di Cronaca

Salta la conduttura dell’Abatemarco nel comune di Mottafollone. Disagi alla popolazione della provincia

MOTTAFOLLONE – E’ di nuovo emergenza per quanto riguarda le condutture dell’Abatemarco che, nella notte fra lunedì e martedì, sono saltate mandando in tilt diversi comuni della provincia di Cosenza. Questa volta a dare forfait sono state le tubature in località Gadurso, nel comune di Mottafollone, con possibili conseguenze anche nelle zone di Cosenza e Rende, oltre che il circondario del capoluogo cosentino, della Valle dell’Esaro e della media Valle del Crati. Una vera e propria disgrazia che, purtroppo, da diverso tempo pende sulle teste di Continua a leggere

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Domenica delle Palme

La Redazione

Domenica delle Palme

Nel calendario liturgico cattolico la Domenica delle Palme è celebrata la domenica precedente alla festività della Pasqua. Con essa ha inizio la settimana santa ma non termina la Quaresima, che finirà solo con la celebrazione dell’ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la celebrazione vespertina si darà inizio al Sacro Triduo Pasquale.

Nella forma ordinaria del rito romano essa è detta anche domenica De Passione Domini (della Passione del Signore). Nella forma straordinaria la domenica di Passione si celebra una settimana prima, perciò la Domenica delle Palme è detta anche Seconda Domenica di Passione.

Questa festività è osservata non solo dai Cattolici, ma anche dagli Ortodossi e dai Protestanti.

In questo giorno la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma . La folla, radunata dalle voci dell’arrivo di Gesù, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente gli rendevano onore.

Celebrazione liturgica

In ricordo di questo, la liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove si radunano i fedeli e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma che sono portati dai fedeli, quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa. Qui giunti continua la celebrazione della Messa con la lunga lettura della Passione di Gesù. [1] Il racconto della Passione viene letto da tre persone che rivestono la parte di Cristo (letta dal sacerdote), dello storico e del popolo. In questa Domenica il sacerdote, al contrario di tutte le altre di Quaresima  (tranne la quarta in cui può indossare paramenti rosa) è vestito di rosso.

Tradizioni Continua a leggere

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Sàntudunàtu, nà picchi ì stòria.

La  Redazione

Dopo  le due raccolte paesane :

Il nostro Amico “MINUCCIU” ha iniziato una ricerca  sulle origini e storia del paese.Lavoro molto lungo e fastidioso ma interessante  da tramandare alle future generazioni.

Ecco per voi  un assaggio su questo futuro volume sul nostro paese.

Sàntudunàtu, nà picchi ì stòria.

(Ninoe, Ninaia, Nineto, Niceto, Ninea)

Parte prima

“Cèrtu c’àru paìsi tùa ciàsa pròpiu jì appòsta”. Era la frase che nella prima adolescenza mi sentivo rivolgere ogni volta che “ccà bànda jèmu fòra paìsi a ssùnà”. Questo, dopo il necessario periodo di studio teorico sul mitico Bona e quello di addestramento pratico con un trombone tenore, dopo che ero stato accolto nella banda musicale di San Donato nella quale sono stato effettivo dal 1957 al 1963.

Quel che io reputavo al pari di un insulto era il naturale seguito alla domanda “iddhùnni sì” rivoltami da qualcuno della famiglia ove venivo accolto per il pranzo, durante le trasferte nei paesi vicini, dove la banda era stata invitata per suonare in occasione di feste religiose od altre ricorrenze che ivi venivano celebrate.

Nel corso degli anni e per penurie di personale (l’emigrazione ha più volte causato la cessazione dell’attività del corpo bandistico), promotore il maestro Leanza, direttore della banda di Altomonte, venne deciso di accorpare i due gruppi bandistici per colmare i vuoti in organico di entrambe le formazioni ed ottenere cosi un discreto e valido gruppo di “mùsicanti”. All’epoca era uso che le famiglie del paese ospite si facessero carico del pasto del corpo musicale ospitato, ciò per risparmiare sulle spese della festa. Da qui la domanda rivolta ai componenti della banda circa la provenienza. A quelli di Altomonte diciamo che andava più liscia perché al massimo si scherzava sul loro soprannome di “ciramilàri” per via che in quella zona erano numerosi gli artigiani che formavano oggetti in argilla, tegole comprese. Con noi sandonatesi, considerati più rustici e quindi più reattivi ad eventuali sfottò, gli ospiti evitavano il trito “castagnàri e pistiddhàri” ma c’era il cenno all’isolamento dell’abitato e quindi la citazione con cui questo racconto si apre. Continua a leggere

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