La Redazione & Minucciu
“Ferìti, ferìti, ferìti quest’àrma,
ferìti quest’àrma che càvuza nnì fu”.
“Nò bbì s’chantràti”, non sto storpiando il nostro dialetto. Ho solo descritto, quasi fedelmente, le strofe che zù Nicola, con la sua voce baritonale intonava, in accompagnamento alla processione del Cristo morto, “à matìna prièstu dò vènnìri sàntu”. Non era il solo a cantare, anzi. A quei tempi, accompagnare il Cristo e l’Addolorata nella processione che iniziava all’alba era un obbligo morale, pari a quello di seguire la processione del santo patrono. Un appuntamento al quale nessun sandonatese, di tutte le età, non voleva ne poteva mancare. Si potrebbe obbiettare che, se era un obbligo, perché citare il solo zù Nicola? Lo cito ad esempio di come alcuni sandonatesi si preparavano ad affrontare una processione faticosa, per impegno muscolare (trasporto del pesante simulacro del Cristo morto) e per impegno canoro (i canti sacri), tutte attività che non venivano facilitate dalle pendenze paesane che, nel caso in esame, venivano affrontate “à càpadièrtu” se teniamo in conto che la processione vera “ncùminciàvadi dò càlivàriu”, sùtta i Girùni e jèdi ppì tùttu ù pajìsi , pùru ancùna dè vanèddhi, fìnu àra tèrra”. Continua a leggere