Il ritorno a San Donato di Ninea: dove il tempo non ha fretta.

Luigi Bisignani 

San Donato di Ninea  28 Giugno 2025

 Il ritorno a San Donato di Ninea: dove il tempo non ha fretta

Non è solo un viaggio. È un richiamo. Un sussurro antico che attraversa le generazioni e si fa strada tra le pieghe del cuore. Tornare a San Donato di Ninea , dopo mesi, anni o per la prima volta ,è molto più di un ritorno fisico. È un ritrovarsi.

Arrivare tra quelle montagne dove l’aria profuma di castagne e ricordi, è come aprire una vecchia scatola custodita nell’anima: dentro ci sono i volti degli avi, le voci spezzate dal tempo, le storie raccontate davanti al fuoco. Ogni pietra, ogni balcone di ferro battuto racconta qualcosa che ci appartiene, anche se ce ne eravamo dimenticati.

Per chi rientra dopo una lunga assenza, San Donato non è solo il paese d’origine: è il luogo dove le radici non smettono mai di crescere, anche quando la vita ti porta lontano. Si riscoprono parole dimenticate, come “mmericanu” detto con affetto dagli anziani, e gesti antichi che ritrovano nuova vita nei mercati, nelle sagre, nelle strette di mano sincere.

Il rientro si colora di emozioni sottili ma profonde: il passo esitante davanti alla casa della nonna, il sorriso incredulo di chi ti riconosce per il nome di tuo padre, l’eco della tua stessa infanzia che sembra risuonare tra le mura. E poi il silenzio. Quel silenzio che solo la montagna sa dare, capace di riempire e non svuotare.

C’è chi arriva con i figli, per mostrargli “da dove veniamo”. C’è chi cerca un cognome tra le lapidi, chi si commuove sentendo il dialetto che somiglia a una ninna nanna dimenticata. C’è anche chi, senza saperlo, torna per restare.

Perché San Donato di Ninea non si visita: si abita, anche solo per pochi giorni. E una volta tornati, non lo si porta via in valigia. Lo si tiene nel petto, come una fiamma discreta ma viva.

“Il cammino del ritorno”

 

Tornare è un verbo che non si coniuga col tempo,

ma con il cuore.

È un impulso che nasce profondo,

come linfa che sale dalle radici

quando la terra chiama e non fa rumore.

Si parte giovani, affamati di mondo,

con la valigia carica di sogni

e le tasche piene di saluti non detti.

Si parte con gli occhi rivolti al domani,

ma una parte di sé resta indietro,

tra i vicoli stretti, le campane,

l’odore di mosto e di pane.

Tornare, invece,

è un viaggio che non sta nei chilometri

ma nella pelle che ricorda il vento,

nelle mani che cercano la forma

di una maniglia antica, di una porta sfondata

che ancora sa accogliere.

È rivedere il paese in controluce,

come un sogno fatto da bambino:

il muretto dove sedeva il nonno,

la piazza dove girava la banda,

il silenzio del tramonto che riempie

più di mille parole.

Il ritorno è anche scontro,

con ciò che è cambiato, con ciò che non c’è più,

ma in quello scontro si scopre la forza

di ciò che è rimasto:

una carezza, una voce,

il dialetto che sbuca come fiore selvatico

tra le pieghe dell’anima.

E forse non si resta,

forse si torna solo per pochi giorni,

ma è sufficiente per sentirsi interi,

per cucire insieme i pezzi sparsi

di un’identità che il tempo aveva sfilacciato.

Tornare è anche perdonarsi:

per l’assenza, per la distanza,

per il pensiero che “un giorno lo farò”.

Perché quel giorno, ora, è arrivato.

E mentre il paese dorme quieto,

una voce interiore sussurra:

“Bentornato. Non sei mai davvero andato.”

Un caro saluto…

Luigi Bisignani 

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2 commenti

    • GIOVANNI BENINCASA il 28 Giugno 2025 alle 15 h 52 min
    • Rispondi

    E’ un percorso che prima o poi finisce e non si torna più, neanche per il riposo eterno.

    • Minùcciu il 6 Luglio 2025 alle 13 h 39 min
    • Rispondi

    ..chjni ssi còsi si sènti ntà l’ànimu, quìru munzièddhu i pètri òll’hà mài lassàtu, ppicchì ù còri a ntò paìsi ònsinn’è mai jutu..

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