STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte quinta)

Luigi Bisignani

 

 

STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte quinta)

Minùcciu bbì cùnta cà, i fèsti sù còs’àntìchj….

Madònna dò Càrmìnu– Era una importante festa mariana e ricorreva al 16 luglio, lo stesso giorno in cui, nel 1251, la Vergine apparve a Simone Stock, priore generale dell’ordine carmelitano e gli consegnò uno scapolare di tela, (àbitìnu) rivelandogli i privilegi connessi al suo culto. La Vergine assicurò che chiunque fosse morto indossando lo scapolare, sarebbe stato libero dalle pene del Purgatorio.

Lo scapolare constava di due pezzi di stoffa di saio, uniti da una cordicella, sui quali era trapuntata l’immagine della madonna e veniva indossato poggiandolo sulle scapole.

Sulla vita di padre Stock (Aylesford, 1165-Bordeaux 1265) abbiamo scarse notizie. Pare che, rientrato da un pellegrinaggio in Terra Santa, decise di entrare nell’ordine carmelitano e nel 1247, ad 82 anni, ne venne nominato sesto priore generale. In tale veste, si adoperò per riformare la regola, facendo dei carmelitani un ordine mendicante, proposta recepita da papa Innocenzo IV che, nel 1251, approvò la nuova regola e garantì all’Ordine protezione da parte della Santa Sede.

La devozione alla Madonna del Carmelo venne propagata da padre Stock, il quale compose per la vergine un bellissimo inno, il Flos Carmeli,

Altra tradizione vuole che l’italiano S. Alberto Avogadro (1206-1214), patriarca di Gerusalemme, abbia dettato una regola di vita per gli appartenenti all’ordine Carmelitano, approvata nel 1226 da papa Onorio III.

La madonna del Carmelo è una delle devozioni più antiche ed è connessa alla storia ed alla spiritualità dell’ordine dei frati della Beata vergine Maria del monte Carmelo.

L’antico Testamento racconta che il profeta Elia, dopo aver avuto una visione che preconizzava la prossima venuta della Vergine sulla terra, raccolse una comunità maschile sul monte Carmelo (da karmel, giardino), che difese la purezza della fede in Dio.

Tradizione vuole che presso il monte Carmelo la Sacra famiglia sostò al rientro dall’Egitto e che sullo stesso monte, in seguito, si stabilirono comunità monastiche cristiane.

Nell’XI secolo sul monte vi erano dei religiosi, forse di rito maronita, che seguivano la regola di San Basilio e che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia. In proposito pare che i frati carmelitani non abbiano mai riconosciuto a nessuno il titolo di fondatore della congrega, in quanto fedeli al modello che vedeva nel profeta Elia uno dei padri della vita monastica.

Nel 1154 il francese Bertoldo si ritirò sul monte Carmelo assieme al cugino Aimerio di Limoges e qui decisero di riunire gli eremiti a vita cenobitica, edificarono una chiesetta tra le loro celle e la dedicarono alla Vergine, prendendo il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo.

Negli anni 1207-1209, Alberto da Vercelli, patriarca latino di Gerusalemme, redasse per gli eremiti del Monte Carmelo la regola primitiva o formula vitae, una specie di statuto dell’ordine. La regola prescriveva, veglie notturne, digiuno ed astinenza rigorosi, pratica della povertà e del silenzio. Venne approvata da papa Onorio il 30 gennaio 1226 con la bolla Ut vivendi normam.

Sulla devozione alla madonna del Carmelo e sulla diffusione del suo culto, si tramanda che in tempi anteriori alla nascita del cristianesimo, degli eremiti si ritirarono sul monte Carmelo, fissando dimora nei pressi della “fonte di Elia”, continuando ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo. Nell’anno 93, vicino alla “fonte” un gruppo di eremiti, dopo aver costruito una cappella dedicata alla Vergine, assunsero il nome di Fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo e ne iniziarono il culto.

Nel 1235 circa, per sfuggire alle incursioni saracene, i frati dovettero abbandonare il Carmelo e rifugiarsi in Europa, dove fondarono vari monasteri (Marsiglia e Messina nel 1238; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254; Kent in Inghilterra nel 1242)

Il culto della Vergine, nel XIII secolo, ebbe nelle fondazioni e negli ordini religiosi, validissimi propagatori (i Francescani dal 1209; i Domenicani dal 1216; i Carmelitani dal 1226; gli Agostiniani dal 1256; i Mercedari dal 1218 ed i Servi di Maria dal 1233, ai quali, in tempi successivisi, si aggregarono altri Ordini e Congregazioni.

Nel 1273, il Concilio di Lione aboliva tutte le nuove Congregazioni, mantenendo in vita solo quelle di Domenicani, Francescani, Carmelitani e Agostiniani.

Nella promozione della devozione alla Vergine, si distinsero i dottori della chiesa Teresa d’Avila (1582), che fondò i teresiani e Giovanni della Croce (1591) fondatore dei carmelitani scalzi, ai quali, nel tempo, vanno aggiunte altre personalità che, come i precedenti, si distinsero per qualità eccezionali di santità, misticismo, spiritualità claustrale e di martirio.

Si rammentano, Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1607); S. Teresa del Bambino Gesù (1897); S. Angelo martire in Sicilia (1225); la Beata Elisabetta della Trinità Catez (1906); S. Raffaele Kalinowski (1907); il Beato Tito Brandsma (1942); S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1942); suor Lucia, veggente di Fatima.

Alla Madonna del Carmine (così chiamata nelle regioni meridionali), sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto. Per la promessa collegata allo scapolare, è anche onorata come “Madonna del Suffragio” ed in questa veste è raffigurata mentre libera le anime purificate dalle fiamme del Purgatorio.

Nel secolo successivo a quello dell’apparizione a Simone Stock, la Vergine del Carmine si manifestava a Giovanni XXII e raccomandandogli l’Ordine del Carmelo, prometteva di liberare i suoi confratelli dalle fiamme del Purgatorio, entro  il sabato successivo la loro morte. Questa promessa della Vergine è nota come privilegio sabatino, dal nome della Bolla Sabatina dello stesso Pontefice Giovanni XXII, data in Avignone il 3 marzo 1322.

Pio X, con decreto 16 dicembre 1910 concesse che allo Scapolare si potesse sostituire una medaglia recante su una faccia l’effige del Sacro Cuore e sull’altra quella della Madonna del Carmine, in perpetuazione della promessa a Simone Stock.

Ho iniziato questo periodo parlando al passato remoto della festa mariana del Carmelo. Nel nostro paese, la festa del Carmine, non è stata mai “sentita” come le altre e forse non aveva mai assunto l’importanza che le competeva. La chiesetta dedicata è stata demolita senza tante storie e con la giustificazione che ne era compromessa la stabilità, in realtà per questioni di una transitabilità che ha avuto pochissima utilità e fortuna, vista la dimensione ridotta e disgraziata orografia paesana.

Attualmente il posto del sacro edificio è occupato da una piazzetta.

L’antica chiesa del Carmine era affidata alle cure del mitico Don Francesco Cerchiaro, che ha sempre dovuto confrontarsi con una parrocchia di piccole dimensioni e con una festa che col tempo ha perso importanza e fedeli, tanto che all’ultima processione, io bambino, anche la rappresentanza rionale era minima.

Sàntu Dùnàtu– La festa del nostro patrono cadeva al 7 di agosto ma, nella pratica, iniziava circa una settimana prima, quando la statua del santo veniva càlàta àru pàntànu presso la chiesa dedicata, dove permaneva per la novena. Il giorno 6 si teneva à fèsta àru Pàntànu ed era consuetudine per le famiglie recarvisi per devozione e specie ppì nnùi quàtràri, à màngià ù milùni.

I mìlùni d’àcqua (cocomeri) ed i mìlùni ì pàni (meloni) venivano posti in vendita da pochi agricoltori delle terre basse (Sàntulàzzaru, Mànchì, Macìddhàru, Arcùmànu, Fìcàra) e da negozianti sandonatesi (Sèmìnu, Lìmmìnu, Càràccu, Cùcci, Cèntàrma) in concorrenza con agguerriti commercianti provenienti dalla piana di Sibari (in specie da Spezzano e Cassano).

I’ mìlùni, jènu vìli perché la festa cadeva nel periodo di massima produzione, circostanza che consentiva favolose scorpacciate a prezzi contenuti.

Il giorno della festa la statua veniva portata in processione, dal Pantano all’abitato e poi in giro per le vie paesane, rigorosamente a piedi e con concorso di numerosissimi fedeli, i quali, facevano a gara per trasportare il simulacro, specie nelle vie del proprio rione.

A metà processione venivano sparati i fuochi artificiali, sèmpi do chjànu dà tèrra e si chiudeva la giornata ccà fèsta àra Siddhàta, dove era stato montato un palco sul quale si esibiva la banda paesana o veniva tenuto uno spettacolo d’arte varia, generalmente cantanti ed intrattenitori.

Dopo il “rito paesano”, ritengo buona cosa illustrare storia, vicende e conoscere meglio il Santo protettore del nostro paese.

Le notizie storiche sulla famiglia di Donato e sulla sua infanzia, sono incerte, così come non si hanno notizie sicure sulla sua reale data di nascita, comunemente indicata nel 240.

Donato, per alcune fonti, era originario di Arezzo, per altre originario di Nicomedia (oggi Ismit o Kocael in Turchia).

In Roma e sin da bambino, fu educato al cristianesimo e nominato chierico, ma non esistono documenti che datino con certezza quando e come il giovane Donato è entrato nel clero. Per le prime persecuzioni Donato si trasferì ad Arezzo, accolto dal monaco Ilariano, al quale si affianca nella penitenza e nella preghiera.

Operando nella chiesa e tra la gente di Arezzo, Donato compie conversioni e prodigi.

Manoscritti antichi, attribuiscono a San Donato alcuni miracoli, tra i quali, la guarigione della cieca Siranna; la liberazione di Asterio dalla possessione diabolica; la temporanea risurrezione di Eufrosina, moglie dell’esattore del fisco Eustasio; e la riparazione di un calice vitreo, mandato in frantumi dai pagani.

Viene nominato sacerdote da Satiro, primo Vescovo di Arezzo ed alla sua morte (tra il 280 ed il 285), in virtù della grande stima che godeva, Donato ne viene nominato successore nella diocesi aretina.

Coadiuvato dal diacono Antimo converte molti pagani. Con gli editti del 303, inizia la decima persecuzione e viene sancita la distruzione delle chiese e dei libri sacri ed a tutti i cittadini viene richiesto di sacrificare agli dei romani. Nell’aprile del 304, un altro editto, autorizzava la liberazione delle persone imprigionate, a condizione che avessero rinnegato il cristianesimo ed offerto sacrifici alle divinità pagane. Chi rifiutava veniva prima condannato alle miniere e poi ucciso. Nell’estate del 404, il governatore di Arezzo, Quadraziano, ordina l’arresto di Donato e di Ilariano. Propone loro di rinnegare la fede in Cristo ed al diniego, Donato viene ripetutamente percosso sulla bocca con delle pietre. Poi il “corrector” fa portare un braciere ed ordina al vescovo di sacrificare incenso in onore della dea Giunone. Al rifiuto, Quadraziano dispose di riportare Donato in cella e di ucciderlo mediante decapitazione (altre fonti tramandano che il martirio avvenne nel 362 durante il regno di Giuliano detto l’apostata).

Era il 7 agosto del 304.

Si narra che il corpo di Donato venne riposto in un feretro e sepolto fuori dalle mura della città in località Pionta e nel 1510, terminata la costruzione della Cattedrale di Arezzo, il feretro di Donato vi venne definitivamente sepolto.

Probabilmente il mutamento del nome Ninea e la dedica dell’insediamento al santo, potrebbe essere avvenuta due secoli dopo il martirio, attorno al VII secolo, epoca in cui il Ducato di Benevento, incorporava anche il territorio sandonatese.

Nel corso di una guerra dinastica fra figli ed eredi del re longobardo Ariperto, uno dei fratelli avrebbe chiesto aiuto al duca di Benevento il quale, risalendo la penisola per raggiungere la Lombardia, passò nei dintorni di Arezzo, ”arruolando” longobardi delle terre di Tuscia, ai quali, alla fine del conflitto, sarebbero state assegnate terre nel territorio di Ninea. È verosimile che il gruppo di toscani d’Arezzo, ai quali sono toccate terre nel sandonatese, vi abbiano trasferito la devozione al santo, successivamente fatta propria dagli abitanti, i quali, in circostanze a noi non tramandate, dedicarono il territorio al martire modificandone la denominazione da Ninaja a Sancto Donatus.

Mènz’àgùstu– Ferragosto è una festa popolare dedicata al riposo ed è anche ricorrenza in cui si celebra il culmine dell’estate, cuore delle ferie estive. È una festa perfettamente laica, tanto che da taluni viene definita il “natale pagano”, per essere tale giornata occasione di riunione per le famiglie.

Lo stesso giorno è stato scelto dalla chiesa cattolica per celebrare l’Assunzione di Maria al cielo.

Il ferragosto ha radici nell’antica Roma, come si evince da etimologia e storia del termine, mutuato dall’espressione “feriae Augusti”, riposo di Augusto, festa istituita dall’imperatore che, nel 18 a.C., ne fisso l’inizio al primo giorno di agosto per solennizzare la fine dei lavori agricoli.

Nelle intenzioni la festa serviva per poter collegare la ricorrenza con diverse altre festività celebrate nel medesimo mese, ad esempio i Vinalia rustica, i Nemoralia, i Consualia ect., in modo che chi faticava nei campi (uomini e bestie) avesse a disposizione diversi giorni di riposo per divertirsi e portare gli auguri al padrone, il quale contraccambiava con una mancia. Durante le ferie, presso i romani si praticavano riti di propiziazione per il prossimo inverno.

La festa era celebrata il 1° agosto, ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più ed estesi almeno fino al 13, giorno dedicato alla dea Diana.

Nel corso dei secoli la data ha subito spostamenti fino al 15 agosto, ciò per la volontà della chiesa di rendere la ricorrenza una festa a carattere religioso

Il rito del ferragosto, che fino agli anni fino agli anni sessanta consisteva nella gita fuori città con pranzo al sacco, è stata una creazione del ventennio fascista che, per l’occasione, programmava a scopo treni popolari ferragostani, con biglietti scontati. Le famiglie, dal 13 al 15 agosto, potevano viaggiare scegliendo due opzioni; la gita di un solo giorno (raggio di 50-100 km) o la gita dei tre giorni” (100-200 km).

Il programma non prevedevano il vitto e la circostanza e fece nascere l’uso del “pranzo al sacco”.

Nell’Italia moderna (e fascista) fu la prima volta che gli italiani ebbero la possibilità, di visitare spiagge, monti e città a prezzi ridotti. Questo accadde non certo perché un imperatore romano, duemila anni prima, aveva ideato una festività propagandistica, ma piuttosto perché, dopo duemila anni, un disastroso emulo, decise di stimolare gli italiani alle vacanze.

Minucciu

 

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