Come Eravamo : Gàngiulu ù mùticièddhu.

Luigi Bisignani

Fra le tante storie che Minucciu m’invia questa mi riporta  nel passato ,infatti la storia i “Gàngiulu ù mùticièddhu” la ricordava pochissimo e di lui mi ricordo poco,anhce se abitava vicino la mia via XXIV Maggio.

Grazie a minucciu ci facciamo un salto nel tempo.

 

 

Téànta mìtara

Chi non lo conosceva, d’acchito difficilmente avrebbe detto che Angelo era nato sordo e muto.

Noto in San Donato come “Gàngiulu ù mùticièddhu”, apparteneva àra razza dè gìnuvìsi ed era fratello ì Rafèli il quale teneva bottega di alimentari ntè cuntuòrni dà chjàzza nòva.

Era di altezza media (riferita ai canoni sandonatesi), “tùnnicièddhu” di corporatura, sposato e padre di un giovanotto, del quale non rammento il nome, era di innata simpatia per via di quell’espressione di perenne sorriso stampata sul volto.

Lo rammento di mezza età, (ghjìa quatràru) ed abituale nella frequenza dei luoghi di ritrovo del paese (chjàzzi e pùtighj) dove era “partecipe” alla vita sandonatese dato che leggeva le labbra e quindi capiva il contenuto dei discorsi e talvolta vi interveniva con brevi e smozzicate frasi, comprese solo da chi aveva con lui familiarità o frequenza abituale.

Pì bbìcìnànzu era solito nei pressi dà putìga ì cùsitùru i zìu Michèli ì Giùvannìna intento a scherzare (a gesti) cchj dìscìpuli e talvolta coi passanti, oppure sostare sulla soglia dò mulìnu èlèttricu, ì Sàvèriu ì ‘Ntrìu.

E si perché, a dispetto della disabilità, Gàngiùlu, a modo suo si faceva anche intendere, sebbene le frasi che pronunciava non fossero intellegibili ai più

Come la quasi totalità dei sandonatesi era curiosissimo ed affamato di tutte le novità e di tutti gli accadimenti ‘ntà sàntudunàtu, tanto da essere spesso uditore, ed a modo suo partecipe nei gruppi di discussione, su vicende del paese e dei paesani, ove emergeva la sua insospettabile vena ironica, espressa a contorno di fatti ed aneddoti sulla vita del paese e dei paesani.

Adolescente abitavo àra chjàzza nòva e per motivi ì vìcìnànzu ho avuto modo di venire in contatto ccù Gàngiùlu e col tempo, riuscire ad capire talvolta il suo modo di comunicare.

Come tutti gli adolescenti ero nel periodo in cui si è attratti dal “piccante”, che non era solo predilezione ppù càncàrièddhu ma soprattutto morboso interesse per qualsiasi riferimento, racconto o discussione, riferiti àru pìlu (chi è sandonatese verace intende benissimo a cosa mi riferisco, ì stràini sìcci frìcanu).

E Gàngiùlu sull’argomento era ferrato, ciò dedotto dai brevi e concisi commenti o gesti per qualcuno meritevole di considerazione, ciò da vero nativo sandonatese.

Con significativi gesti e poche parole, ù mùticièddhu sottolineava ed illustrava vizi palesi, con ciò sfatando il mito dà còsa àmmucciàta, quei fatti ed avvenimenti sacrèti” che, a dispetto del termine, restavano privati per il tempo di un battito di ciglia.

Gàngiulu non era l’eccezione ma la norma, tanto che c’era la convinzione che le mura in paese avessero bocca ed orecchie vista la velocità con la quale i fatti altrui erano conosciuti e spùbbricàti.

Rammento una processione del patrono e la calca che vi era attorno alla statua del santo dove avvenivano strattonate e spintoni per potersi avvicinare al simulacro e trasportarlo fino a che non si veniva a sua volta esautorati, anche con metodi spìcci.

Nella calca era coinvolto gùnu ì ggènti bbòna che, sebbene sulla sessantina, aveva assunto un atteggiamento prepotente e pìtrinniàdi ì pùrtà ù sàntu cchjù ddì làti, causando una breve scaramuccia nel corso della quale ghèra currùtu àncùnu càzzòttu.

La faccenda era nata accanto àra pòsa dà chjàzza nòva dove era stato allestito un tavolo per permettere ai portantini di riprendere fiato posandovi la statua prima ì pià ì sìlichi àd’àcchjànà.

Dopo il passaggio della processione, un gruppetto di sandonatesi fra i quali Gàngiulu era restato nei pressi dà pòsa a commentare l’accaduto e criticare l’atteggiamento poco opportuno tenuto da alcuni.

Riferendosi al tizio il cui agire era inappropriato alla circostanza, Gàngiulu aveva fatto intendere che la prepotenza era solo facciata.

Il protagonista non era l’uomo che voleva far credere perché era nù tèànta mìtara.

Conoscevo quella espressione che nella concezione dò muticièddhu. aveva molte valenze.

Spesso era da lui usata a mò di scherno per ridimensionare personaggi che volevano più considerazione di quella che effettivamente sarebbe loro spettata e quindi il riferimento alle dimensioni ridotte dò mìcciu annichiliva qualsiasi pretensione.

L’altro sentire era riferito alle potenzialità del soggetto e stava a significare che màncàvadi ì cudiceddha e quindi era di scarsa prestanza sessuale e quindi sènza mìcciu, che è il significato della locuzione che da titolo al presente racconto.

Cen’era una terza, riferita al sessantenne autore della sceneggiata, visto che sènza  mìcciu era anche l’agnome che indicava la sua razza, nato da una vicenda che aveva come protagonista ù tàtàrànnu del tizio

Venne esplicitato che in gioventù il capostipite avesse insidiato una donna in famiglia e che suo padre lo avesse sorpreso mentre àbbrancicàvadi a cànàta ppì pàrti ì mugghjèri, nonostante fossa già padre di due figli

Ne era nata una lite con colluttazione, nel corso della quale, il giovane aveva avuto la pessima idea ì dà mànu àru cùrtièddhù.

Il padre, molto pìù avvezzo a circostanze del genere, lo aveva disarmato e nel prosieguo della zuffa, colpito nelle parti basse.

L’esito fu impietoso. Nessuna funzionalità residua se non la minzione e questo a nemmeno trent’anni, con tutto quel che ne consegue sui rapporti interpersonali e sul carattere del soggetto, al quale i compaesani non perdonarono la menomazione, tirata in ballo a rinfacciata in ogni occasione, come accaduto col pronipote protagonista dè ciùociùli àra fèsta dò sàntu.

Qualche anno dopo questi fatti (io ero già assente dal paese), Gàngiulu sinn’è jìùtu in solitudine, forse accompagnato dalla sua vena ironica e dalla sua simpatia, doti palesate in anni di prese per i fondelli e puro divertimento à pià ppì fissa, come talvolta accadeva quando reagiva a sfottò nei suoi confronti.

Non era seccato dalla circostanza che la sua battuta più celebre, “tèànta mìtara”, talvolta gli si ritorcesse contro quale presa in giro per asserita ed insufficiente frequentazione del genere femminile.

Lo sfottevano dicendogli cà aviènnu nu sùlu figghjù, à fìssa àvìadi àssaggiàta sùlu nà vòta caricando la battura con accenni alla sua presunta tirchìerià.

Ara fissiatùra ì ghèssi spilùrciu e spùrciu ppìcchì òbbùlìa pàgà nà fìmmina, ririèdi , mà sùtta sùtta ddhj dìspiàcièdi e cì pàtìa ‘nnà pìcchji.

Minucciu Giugno 2018

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