A’ càntìna i Pèrròni.

Luigi Bisignani 

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A’cultura-sandonatese.jpg càntìna i Pèrròni.

Ho fra le mani  un volume edito nel 1863 nel quale l’editore Le Monnier di Firenze ha pubblicato poesie edite ed inedite di Giuseppe Giusti, poeta satirico e letterato toscano, molto noto ad una parte dei vecchi sandonatesi, per via di un distico che, negli anni cinquanta, ornava una delle pareti “dà càntìna chì stàvadi ntà vanèddha dò jardìnu, chì nà vòta ghèradi ì Bèllavàjàna e pùa avìa piàta Perròni,”.

Detta strofa era stata trascritta nella parete, con alfabeto in corsivo nero, ad opera di da un “pittore” (paesano e gran bevitore), che vi aveva anche dipinto ornamenti con tralci di vite, fiaschi e bicchieri.  Il sonetto era un inno alla tipica attività normalmente praticata in quei locali e recitava questi versi: “Empi il bicchier ch’è vuoto, vuota il bicchier ch’è pieno. Non lo lasciar mai vuoto, non lo lasciar mai pieno”.

Questo ricordo, mi ha indotto ad estrapolare dal predetto volume alcuni componimenti che vorrei offrire alla riflessione “dei miei quattro lettori”. Ritengo che, seppur i versi siano di stampo ottocentesco, in essi vi siano riferimenti alla contemporaneità, fatto salvo che ognuno, sui contenuti, maturi una propria idea e formi una personale opinione.

Sonetti

Grossi, ho trentacinque anni, e m’è passata
quasi di testa ogni corbelleria;
o se vi resta un grano di pazzia,
da qualche pelo bianco è temperata.
Mi comincia un’età meno agitata,
di mezza prosa e mezza poesia;
età di studio e d’onesta allegria,
parte del mondo e parte ritirata.
Poi, calando giù giù di questo passo
E seguitando a corbellar la fiera,
verrà la morte, e finiremo il chiasso.
E buon per me, se la mia vita intera
mi frutterà di meritare un sasso
che porti scritto: “non mutò bandiera”.

L’arruffapopoli (1818)

Ateo, salmista, apostolo d’inganno;
vile se t‘odia, se ti palpa abietto;
monco al ferro, centimano al sacchetto;
nel no maestro di color che sanno.

Sotto l’ammanto dello stoico panno,
cova il cor marcio e il mal dell’intelletto.
Invidioso, oltracotante, inetto;
libera larva di plebeo tiranno;
tutto sa, nulla fa, tutti disprezza;
sonnambulo ha il cervello e la scrittura.
Sofista pregno d’infeconda asprezza,
fecondità del mulo, a cui natura
diè forte il calcio e più l’ostinatezza.
Ed i coglioni, per coglionatura.

I più tirano i meno. (Proverbio)

Che i più tirano i meno è verità,
posto che sia nei più, senno e virtù.
Ma i meno, caro mio, tirano i più,
se i più trattiene inerzia o asinità.
Quando un intero popolo ti dà,
sostegno di parole e nulla più,
non impedisce che ti butti giù,
di pochi impronti la temerità.
Fingi che quattro ti bastonin qui,
e li ci sien dugento a dire: “ohibò”,
senza scrollarsi o muoversi di lì.
E poi sappimi dir come starò,
con quattro indiavolati a far di si,
con dugento citrulli a dir di nò.

Epigrammi

Il Buonsenso, che gia fu capo-scuola,
ora in parecchie scuole è morto affatto.
La Scienza, sua figliuola,
l’uccise, per veder com’era fatto.
Chi fe calare i barbari fra noi?
Sempre gli eunuchi, da Narsete in poi.

Agosto 2015
Minùcciu

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