La redazione & Minucciu … 05 Maggio 2012
Dommichèli
“Vox populi”, della cui origine non si seppe mai, fece sapere in paese dell’arrivo di un nuovo prete. In paese di parroci in attività ve ne erano gia due, l’arciprete “Dommiciènzu” originario della marina e “Donfrancìscu”, che era sandonatese ed insegnante elementare. Un terzo sacerdote, per di più “stràinu”, veniva considerato “abbunnanziùsu” tenuto conto del ridotto numero di abitanti del paese; prese quindi corpo l’ipotesi che, se veniva trasferito a San Donato, il nuovo sacerdote, qualcosa, là dove era, doveva per forza averla combinata. Poi di un terzo prete non se ne sentiva così bisogno perché, da anni e annorum, la cura del gregge era affidata un solo parroco, Dommiciènzu l’arciprete; l’altro, “Donfranciscu”, era a mezzo servizio fra scuola e parrocchia di “Maciddhàru” e per il da fare nella cura delle anime sandonatesi, due preti erano considerati più che sufficienti, anzi, anche troppi.
Non era malevolenza verso un estraneo, peraltro ancora da conoscere e valutare; era quel sano spirito laico che induceva il sandonatese doc a non fidarsi dei preti perché “a cammisòla ricògghidi”, con non tanto velata allusione, ai cari affitti dovuti da chi utilizzava i terreni della chiesa ed alle numerose e cospicue proprietà, pervenute al patrimonio della chiesa e ”sottratte”, ai più o meno legittimi eredi, ad opera di preti che promettendo la salvezza eterna, “si lavoravano”, scopo testamento, vecchie beghine e peccatori pentiti. A ciò bisogna sommare quella forma di ironia rivestita di anti clericalismo che faceva definire i preti “cuorivi nivuri”, senza che questo impedisse ai ”mangiapreti” la frequenza della messa solenne, cantata, celebrata alla domenica; oppure di intervenire alle processioni, in onore della Madonna a Maggio e del Patrono ad Agosto o di partecipare ai riti della settimana di passione, specialmente alla processione della “Via Crucis” ed ai relativi canti del Venerdì santo. Diciamo che, da sandonatesi, nel nostro piccolo, si faceva una netta distinzione. Nonostante la nomea di bestemmiatori, il sacro restava tale proprio perché soprannaturale, perfetto e sottratto all’influenza umana; altra faccenda era la “diffusione del Verbo” ad opera della gerarchia ecclesiastica, fatta da uomini, imperfetta e soggetta ad errori. Operavamo una netta separazione fra i due settori, considerati solo in apparenza contigui. Da questa corrente di pensiero erano naturalmente esclusi i baciapile devoti convinti e quelli che, praticando la “vicinanza”, pensavano di trarre dalla frequenza religiosa, vantaggi terreni immediati o quelli promessi nell’aldilà.
Comunque sia, “Dommicheli”, giunse in paese scortato da cognata vedova e due nipoti e prese, casa in quel dirizzone che congiunge “a chianca Artusu ara Siddhata” e parrocchia nella chiesa del rione Terra. Il sacerdote era gia sulla cinquantina e quando si rese conto di cosa significava salire in cima al paese per due volte al giorno, messa mattutina e vespro, non la prese affatto bene ma si rassegnò perché, pur avendo fatto voto di castità, senza colpe sue, se non quella da attribuire alla poco benigna sorte, si ritrovava con una famiglia da mantenere.
Qualche malalingua, non lasciò passare molto tempo per spargere il veleno della maldicenza, prodotto tipico di taluni elementi della “fauna sandonatese”; questo argomento, in assenza di fatti conclamati e certi, esula dallo scopo che mi sono prefisso con le mie modeste cronache.
Non era molto alto “Dommicheli”; magrolino, colorito olivastro, affabile ma dai modi bruschi; era simpatico per via che del prete aveva la tonaca e la vocazione, ma lo consideravamo più uomo che sacerdote per via della franchezza, con la quale, rispondeva alle domande postegli ed affrontava qualsiasi situazione. Era buongustaio e circa il cibo e le bevande, asseriva che se il buon Dio aveva posto sulla terra tutto quel che c’è, aveva avuto i suoi scopi e tutto aveva una sua utilità. Se vi era qualcosa che procurava danno non era colpa nè di Dio nè della natura; erano gli uomini che esageravano e facevano cattivo uso dei doni del Padreterno.
Dei nipoti di “Dommicheli”, quello che, per carattere, somigliava allo zio era “Ciruzzu” mio quasi coetaneo; l’altro fratello, più adulto, era altezzoso e verso i più piccini si mostrava superbo; non l’ho mai praticato, non mi ispirava simpatia e non ne rammento il nome.
“Ciruzzu” era un amicone, accompagnava sempre lo zio e delle volte ce ne raccontava le vicissitudini.
La chiesa della Terra, non aveva moltitudine di fedeli, come del resto le altre chiese del paese dove la gente, si recava alla domenica, più per “esibire” la maggioranza; pochi per fede profonda. Talvolta “Dommicheli”, specie nei giorni feriali, quando i rionali, maschi e femmine, erano sparsi nelle campagne e la popolazione anziana doveva vigilare su casa e magazzini, si trovava a dover celebrare le funzioni con il solo “Ciruzzu” quale parrocchiano-chierichetto. In una di dette giornate, “Dommicheli”, durante la messa, dopo aver benedetto le vuote panche della chiesa, si girò per risalire verso l’altare, incespicò e picchiò lo stinco contro uno dei gradini. Gli usci una “imprecazione” che fece drizzare i capelli a “Ciruzzu” il quale fissò lo zio con lo sguardo a metà fra l’imbarazzato ed il sorpreso; “Dommicheli” non mostrò alcun turbamento e rivolto al nipote disse: “Cirù, e quànnu ccì vò, ccì vò”.
In altra occasione, una vecchietta del rione Terra, dopo aver assistito alla funzione mattutina, senza donare nulla alla colletta dell’offertorio, si recò nella “sacristia” e chiese a “Dommicheli” se poteva celebrare messa in memoria del defunto marito, precisando: “cà pùa tì pàgu”. “Dommicheli” prese il breviario e, come se stesse consultando un dizionario, iniziò a sfogliarlo mormorando “ mìssi cà pùa… mìssi cà pùa….”.
Dopo aver pronunciato la frase poche altre volte, rivolto alla donna rispose: “ ntò missàli mìssi cà pùa òn cìnni sùnu….ccì tiègnu sùlu mìssi cà mòni”, concetto che la donna comprese al volo tanto da andare a casa e ritornare in chiesa con la busta contenente l’offerta.
Questo è il “Dommicheli”, pastore di anime “ara Terra”, che io ricordo.
Aprile 2012
Minucciu
2 commenti
Non poteva mancare Don Michele. In effetti, che io sappia, la sua unica traccia, o almeno quella mitica, che ha lasciato ai posteri nel suo passaggio San Donatese è la sua citazione: quannu ci vò ci vò.
Altro di rilievo non ricordo eppure l’ho avuto come insegnantew di religione alle medie.
Un cordiale saluto. Giovanni
a Proposito del fratello di Ciruzzo, si chiama Michele, ed è stato mio compagno di università a Bari.