STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte prima)

Luigi Bisignani

Ieri ho ricevuto questa bellissima ricerca di MINUCCIU e come al solito ve ne faccio parte subito,l’unico problema é che questa ricerca é lunga allora per non perdere il filo MINUCCIU la propone in parecchie puntate ,oggi la prima parte ,il seguito verrà…

 

 

STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte prima)

Minùcciu bbì cùnta cà, i fèsti sù còs’àntìchj….

 

Questo studio è stato a suo tempo effettuato, per essere donato al Giornale interattivo di San Donato, per la vendita “online”, quale fonte di finanziamento dello stesso giornale ed a sostengo delle spese di esercizio.

Lo studio era dedicato a mia madre, in segno di riconoscenza per tutte quelle giornate ordinarie che lei, con gesti semplici, aveva reso festive. Da lei ho appreso, fra molto altro, che nel parlato sandonatese, due termini dialettali antichi distinguevano il giorno di lavoro (fìlandìva) da quello di riposo (fèsta), entrambi con radici nelle lingue antiche (greco e latino), come la quasi totalità dei vocaboli che formano il dialetto paesano.

Rendo ora pubblico un resoconto delle mie ricerche.

Data la corposità del racconto, lo stesso verrà “spezzato” in periodi più corti e più fruibili in una pubblicazione online. Ho calcolato che pubblicando una media di tre paginette, in 8/9 puntate dovremmo esserne fuori.

Di seguito enumero il risultato delle ricerche sui vari termini che nel nostro parlato sono associati alle feste.

 

-Fìlandìva parrebbe il dialettale del termine filandaia, operaia di filanda. Etimologicamente è corruzione e distorsione dell’espressione latina “fila legunt”, torcono il filo, che indicava l’attività del filare, lavoro molto importante nell’economia agro-pastorale nonché occupazione alla quale, da tempi immemori, le nostre donne venivano indirizzate in tenera età, lavoro che le teneva impegnate per intere giornate.

Tanto era considerata importante l’abilità del filare da essere oggetto di un proverbio: chìni sà filà, fìl’à nnù scuòrpu.

 

-Fèsta è il femminile di “festus”, solenne, festivo, termine connesso all’antico latino “fèriae”, giorni feriali, congenere del greco “fèstiaò” (festeggio banchettando, accolgo presso il focolare domestico), derivato da “estìa”, per festìa, focolare della casa, originato dal sanscrito “vastya” casa, da “vasati” abitare, dimorare.

Soddisfatti i palati più esigenti, torniamo al significato letterale di festa.

Per l’antropologia, è un rituale, sacro o profano, rispondente a tradizioni piacevoli ma anche luttuose o penitenziali, si pensi alla commemorazione dei morti od alla quaresima.

Per altri studiosi è “un microcosmo variegato, con un certo grado di complessità, per le varianti culturali, antropologiche e tradizionali, in esso comprese, ma rimane sempre un momento di vita sociale di durata variabile e che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane, come periodo di particolare effervescenza”.

La festa, interrompe l’attività produttiva, con tempi di ricreazione e talvolta di eccesso e trasgressione, che dovrebbero rigenerare, favorendo opportunità di socializzare, stringere o consolidare amicizie, ritrovare gli affetti.

Per noi sandonatesi la festa era insieme, occasione di riposo, di svago, di baldoria, ma anche periodo di rituali sacri e cerimonie connesse.

Rammento l’aspetto popolare delle feste, religiose o laiche. Quando ero “quàtràru”, per la festa del patrono aspettavo con ansia ù juòcu dà ‘ntìnna, quel palo liscio ricoperto di grasso, piantano ‘mmiènzu à chjàzza dà Siddhàta, sul quale la meglio gioventù paesana tentava di arrampicarsi per staccare, dalla ruota posta in cima, salumi, recipienti con vino, sacchetti con legumi secchi. Pezzo più ambito era, à pignàta contenente una somma di danaro.

Era festa anche il giorno di mercato, da noi à fèra dò sìa jìnnàru (stoffe, articoli per la casa e per noi ragazzi, giocatoli), il giorno successivo quìra dò sètti dedicata al bestiame e tenuta prima àra Siddhàta e poi lungo la strada che porta in contrada Cutùra. Altra fiera del bestiame si teneva in uno spiazzo adiacente la chiesa di S. Antonio il 17 gennaio, in occasione della ricorrenza del santo.

L’argomento feste, per l’aspetto religioso, è stato oggetto di riflessioni da parte della gerarchia ecclesiastica.

Il testo in corsivo che segue, è di Benedetto XVI ed è relativo alla importanza della religiosità popolare, e di tutte quelle manifestazioni che ne derivano e che non potevano e non possono essere considerate, come qualcosa di secondario della vita cristiana.

Gesti antichi, segni ripetuti e visti ripetere, di padre in figlio, di nonno in nipote, che scaldano l’anima al fuoco di tradizioni che parlano di Dio, della Madonna e dei Santi. (..)Certo, la pietà popolare tende all’irrazionalità, talvolta forse anche all’esteriorità. Eppure, escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di essa la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà popolare è un grande patrimonio della Chiesa, merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente reale popolo di Dio.

L’affermazione sembrerebbe però in contrasto con la storia del cristianesimo cattolico, il quale, per affermarsi, ha dovuto confrontarsi con memorie, riti e credenze di preesistenti culti pagani con radici nella notte dei tempi

Dopo anni di lotte, spargimenti di sangue ed alleanze, il cristianesimo ha prevalso, sebbene abbia dovuto scendere a compromessi quali, la tolleranza verso riti, usi e costumi stabili e difficili da estirpare, per la radicata natura soprannaturale che appagava la pietas popolare pagana.

Per convertire i pagani, il cristianesimo ha dovuto giocoforza assimilare residui di religioni precedenti, ciò per poterne progressivamente legittimare ed incorporare le forme celebrative, dotate di struttura propria e radicate nelle comunità.

L’emergente cattolicesimo ha dovuto assimilare e trasporre in liturgia propria, le processioni, i rituali, le orazioni, le litanie, cammino obbligato per attuare il passaggio dal paganesimo al cristianesimo.

Quanto sopra ha trovato applicazione anche nel processo di evangelizzazione del territorio bruzio nel quale il nostro paesello rientra a pieno titolo.

Presso le antiche popolazioni bruzie vi era una varietà di culti e di divinità che non potevano essere sostituiti da un credo che aveva carattere monoteistico.

Si rese pertanto necessario abbandonare la rigidità del primigenio culto cristiano (esclusivo verso l’unico Dio) e cito ad esempio il consentire la devozione per i martiri, all’inizio solo modelli da imitare e non elevati al culto.

Il culto pagano della “Grande Madre”, dal cristianesimo venne variato ed orientato verso la Madre di Mio e da questa circostanza nasce la devozione verso la Madonna.

Questa la breve premessa, per evidenziare e chiarire l’aspetto storico relativo alla nascita delle feste religiose.

La ricerca non poteva che iniziare dalla festa più sentita ed importante per i sandonatesi della mia generazione.

-Natàli- Era festa importante, con storia e radici antichissime.

Vi era una ricorrenza pagana molto sentita presso i romani, legata al 21 dicembre, giorno in cui il sole tocca il punto più basso all’orizzonte. La celebrazione era connessa col credo nel dio Mitra ed entrò nelle abitudini romane che fecero del 25 dicembre il dies natalis solis invicti.

Dal 25 dicembre in poi aumenta la durata del giorno ed in questo le popolazioni antiche vi vedevano la rinascita del dio sole (partorito dalla notte, nella quale veniva personificata la dea vergine).

Aureliano imperatore, il 25 dicembre del 274 a.C., in Roma, consacrando un tempio al sole invitto, ne istituisce la festa legata culto del solstizio.

Al solstizio d’inverno erano legate culti a divinità diverse, quali; Horus (partorito da Iside), presso gli egiziani; Thammuz (partorito da Mylitta), nelle religioni iranico caldee; Mitra (nato in una grotta nella notte tra il 24 e 25 dicembre, ben 14 secoli prima di Cristo e morto a 33 anni.

Anche Mitra, in similitudine con l’eucaristia, nelle cene consumava pane e vino. Il suo culto, sopravanzato dal cristianesimo e perseguitato, scomparve per questo entro pochi secoli.

Con l’avvento del cristianesimo, ogni ricorrenza pagana legata al solstizio d’inverno è stata cancellata. In tempi successivi, la chiesa ha fissato al 25 dicembre la natività di Gesù Cristo, figlio di Dio, mandato in terra per la redenzione del peccatore e per questo destinato a morire e risorgere, quindi “invitto”.

Abbiamo visto che il cristianesimo dovette “venire a patti” con tradizioni pagane molto radicate. Per tali motivi la Chiesa tentò, e con successo, di “appropriarsi” della festa del Natale, proponendo Gesù Cristo come “vero sole divino, che nasce di notte da una vergine”, accomodamento che determinò, nella teologia cristiana la divinizzazione di Cristo.

È da dire che in molte religioni, vi è la presenza di una Divinità nata nel solstizio d’inverno. Ai citati Horus. Mylitta e Mitra, tenevano buona compagnia Quetzacotal in Messico, Bacab nello Yucatan, Huitzilopèochtli fra gli Atzechi, Frery fra i popoli scandinavi, Zeus, Bacco ed Ercole fra i greci, Ati in frigia ed Adone in Siria. Molte di dette divinità erano nate da una vergine ed in una grotta e con Cristo avevano in comune la discesa agli inferi.

Costantino imperatore, fissò e rese ufficiale al 25 dicembre la nascita di Cristo, in aggiunta al natale di Mitra

Alcuni sostengono che la data del 25 dicembre venne scelta sulla base dell’antica data solstiziale, non per cancellare una festa pagana ma per coglierne il significato spirituale primigenio, facendo sì che il Sole pagano divenisse la “Luce di Cristo” (esso stesso si definì “Luce del mondo”).

Per le donne sandonatesi, l’avvento del Natale, significava passare alcuni giorni a preparare impasti e poi ore avanti al caminetto, per apprestare ì frìttùri, prodotti che, nel nostro parlare indicano tutta la gamma di dolci e salati, tipici del periodo (crispèddhj, scàvudatièddhj, tùrdillùni, càssatèddhj, cìccitièddhj, giùrgiùlèna) ed avanti al forno per cuocervi, pàni, ‘nchjùsi, pìtti, rìganàti, cùddurièddhj, da consumare in occasione delle festività.

Era tradizione per la cena della vigilia mangiare un numero determinato di cose (sette, nove, undici), perché portava fortuna.

Per noi bambini non c’era regalo di Natale (il consumismo era di là da venire ed all’epoca i doni li portava la befana), ma era reale la prospettiva di poter consumare dolci a volontà, “attività” ostacolata ed a volte, irrealizzabile, durante il resto dell’anno.

Sàntu Stèfanu– Il giorno 26 Dicembre è data consacrata a Santo Stefano, primo martire della cristianità e fra i Santi più importanti.

Del martire Stefano, si hanno scarse notizie, non è nota la sua nazionalità e taluni hanno ipotizzato che avesse origini greche (il suo nome nel greco antico significava “coronato”), o che fosse un ebreo educato a quella cultura. Fu uno dei primi giudei a convertirsi al cristianesimo ed a seguire gli apostoli.

Per sapere, saggezza e fede dimostrata, Stefano divenne il primo dei diaconi in Gerusalemme.

Unitosi agli apostoli, divenne discepolo e partecipe attivo alla diffusione della

”parola”. Il numero di ebrei, che nel suo tempo si convertivano al cristianesimo, aumentava ed i sacerdoti, per contenere il fenomeno, denunciarono Stefano per blasfemia, asserendo che predicava contro la parola di Dio e di Mosè, ricorrendo anche a falsi testimoni che confermarono le accuse.

Davanti al Sinedrio, dove si celebrava il processo, Stefano difese la sua fede. Non fu emessa alcuna sentenza di morte, perché le parole di Stefano determinarono una irosa reazione fra i presenti al dibattito, i quali, sottrassero Stefano ai giudici e portatolo fuori le mura della città e lo linciarono a colpi di pietre.

Tradizione vuole che la folla deponesse i mantelli presso i piedi di Saulo, presente all’esecuzione (per taluni fra i giudici e gli accusatori di Stefano), che qualche tempo dopo diverrà San Paolo, apostolo delle genti.

Per quanto riportato nei vangeli, la morte di Santo Stefano sarebbe avvenuta nell’anno 33 dell’era cristiana.

La tradizione indica, quale luogo della lapidazione di Stefano, i dintorni della chiesa greco-ortodossa dedicatagli in Gerusalemme.

Nel 1949, il 26 dicembre (giorno dedicato a Santo Stefano), è stato riconosciuto festivo dallo stato italiano. Pare che a base della decisione, sollecitata dalla chiesa, vi sia stato il proposito di prolungare di un giorno le vacanze natalizie.

La data prescelta dalla chiesa, per celebrare Santo Stefano, la si deve alla qualità di primo martire della cristianità e quindi degno di figurare nel calendario accanto a Gesù, ciò per “coerenza temporale” nel celebrare il primo “combattente per la cristianità”.

Nella scelta non dovrebbe essere estranea la circostanza che la Chiesa, subito dopo il Natale, con celebrazione liturgica commemorava i “comites cristi”, ossia coloro che avevano seguito la parola di Cristo fino al martirio.

I sandonatesi non avevano particolari usanze o tradizioni legate al giorno di Santo Stefano. La giornata solitamente si trascorreva in casa, quasi una ricerca di quiete dopo gli stravizi di Natale ed il pranzo di giornata era rappresentato dagli avanzi del giorno precedente.

Il protomartire era anche citato ‘ntà nù dìttu ì sàntudunàtu , a proposito della breve durata di un oggetto. Si diceva, ghè duràtu à Nàtàli à sàntu stèfanu, ossia molto poco.

 Minùcciu

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