NtàCàlàbria dò gòttucièntu

Luigi Bisignani

In questo periodo di pandemia una bella soluzione per passare il tempo é la lettura ,certo la lettura della nostra Terra,del nostro territorio.

Minùcciu bbi cùntàdi: NtàCàlàbria dò gòttucièntu

Appresso riporto le considerazioni di Vincenzo Padula, pubblicate sul giornale “Il Bruzio” del 4 maggio 1864, nelle quali l’autore rifletteva sulla condizione socio economica della provincia cosentina, negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia.

Non tutte le circostanze che il giornalista esamina hanno corrispondenza con usi, costumi ed accadimenti nel territorio sandonatese di quell’epoca, ma la condizione socio-economica non doveva essere di molto dissimile da quella appresso descritta.

Giudizi negativi e crude considerazioni, espresse dall’autore contro le popolazioni delle terre cosentine,possono non essere condivisiosuscitare disapprovazione,ma nulla tolgono alla vivida descrizione delle miserevoli condizioni di vita del popolo minuto,delle cattive azioni alle quali veniva indotto, dello sfruttamentoe dello stato di perenne sofferenza e miseria cui era assoggettato.

In corsivo il testo pubblicato più di un secolo e mezzo addietro.

“””” Dammi un punto dove fermi una leva, diceva Archimede, e muoverò l’universo.

L’uomo che coltiva le Muse, e l’uomo che coltiva la terra han bisogno egualmente d’unpunto, dove fermino la leva.

Il punto delprimo è un’idea, che promette d’essere gravida, un’idea a gomitolo, che fa nascere il bisogno di svolgerla; e ‘l punto del secondoè un terreno, che sia suo, e che gli dica:Tuttocciò ch’è sotto a me fino all’inferno,e tuttocciò ch’è sopra di me fino al tronodi Dio, è tuo.

Questo punto di appoggio èmancato sempre al nostro popolo.

Tra noigli agricoltori possidenti (ossia i massari) sonpochi; la maggioranza è di agricoltori braccianti, che non camminano sulle terre, mavolano, e seminano un anno qui, un annolà, non fermandosi in veruna, scegliendo lemigliori, e peggiorandole tutte.

S’è fittaiuolocerca ad ottenerne il massimo guadagno chepuò, non mugnendole, ma smugnendole, nonadoperando carezze, ma strapazzi; ché il calabrese è brigante finanche quando zappa.

Spirata la locazione intende contrarne unaaltra, e si studia a lasciare sfruttato il terreno, che abbandona; e quando il proprietario vedendo inariditi i suoi noci maledicealla crittogama, al gelo, ed agl’insetti, il pover’uomos’inganna;ché i noci son seccati,perché il fittaiuolo ne taglio le radici e levendette.

Se poi è bracciante, passa da unpunto ad un altro punto dei terreni Comunali, lasciando la sterilità dietro i suoi passi,non badando a concimare il suolo, a piantarlo, a migliorarlo, e se sia in declivio, oin piano; e quando il numero dei buoni terreni è esaurito, mette fuoco in un bosco, esemina sulla cenere.

Così le nostre belle foreste si sono distrutte, così si son formatequelle lande deserte, inutili al pascolo, inutili alla semina, e che tra le terre vicine verdeggianti biancheggiano come macchie di tigna; così è avvenuto che il forestiero chevisita la prima volta le nostre campagne ècostretto a dire: Quindi passarono i Vandali!

Tali condizioni di cose han fatto sì che ilCalabrese abbia smentito la poesia, che dipinge la campagna come albergo dell’innocenza dell’Idilio, e la giusta osservazione deifisiocrati, che dissero di tutte le occupazioniessere l’agricoltura la più conducente alla volontà del cuore ed alla generosità degl’istinti.

L’agricoltura esercitata al modo, cheper noi si è detto, ha renduto ingeneroso emaligno il popolo nostro. Non potendosi affezionare alla terra, perché non sua, non siè affezionato a veruna cosa, che sia sulla terra.

Odia la terra, e la strapazza, gli alberi,e gli rovina, il paese dove viene a dormirela sera, e se vi vede una fontana nuova, unalbero nuovo che vi si costruisce e vi si piantaper abbellimento, egli si guard’attorno, equando è sicuro di non essere veduto fa conla zappa o con la scure un guasto qualunque alle nuove costruzioni.

Ah egli dice sogghignando amaramente, tutto ciò serve pelgalantuomo, ed io lo guasto!

I galantuomini, ossia i proprietarii gli son dunque nemici?

Noi siamo nel loro numero, e sappiamo chenon è il proprietario che ruba e froda il contadino, ma è il contadino che froda e rubail proprietario.

Quando studieremo lo stato delle persone tra noi, entreremo sopra ciò inpiù sottili osservazioni: per ora a noi bastal’avere segnalato l’odio ingiusto le più volte,ma sempre accanito che l’uomo del popolonutre pei proprietarii, e per la campagna dalui coltivata.

Tu dici: Ecco la grandine hadisertato le vigne; e l’uomo e la donna delpopolo ti rispondono: Si possa far tanto vino,quanto basti per una messa di esequie a tuttoil paese!

Tu dici: Ecco la siccità ha distruttoil grano; ed essi ti rispondono: Venga talfame, che ci costringa a divorarci a vicenda!

Queste ed altre più crudeli parole ci han fattosempre fremere, ma non odiare il popolo.

Ogni uomo, ed ogni popolo nasce buono edè buono; è la miseria che lo intristisce, equella del nostro non è assolutamente, comesi fa, da recarsi alla durezza dei proprietarii,ma alla mancanza del lavoro, e delle terre.

Saviamente dunque il governo, come rimedioa tanti mali ha imposto la quotizzazione deiterreni comunali tra i proletarii: operazionesanta, e benefica, la quale (e ciò sia a lodedella Prefettura) nella nostra provincia si ècondotta più che a mezzo, quando in moltealtre non si è neppure cominciata.

Or perché a questo non si risolve il governo di aggiungere un altro maggiore beneficio, la vendita,o meglio l’incensimento a piccioli lotti deibeni demaniali, ed ecclesiastici?

Così il numero dei piccoli possidenti crescerebbe, laindustria fiorirebbe, l’inerzia sparirebbe, enascerebbero l’arti.

Ma per l’arti e per l’industrie è mestieril’istruzione; e noi dicemmo l’ignoranza malecomune si all’alta, e si alla bassa classe.

In che modo si deve intendere ciò? In che modosi deve combattere?

I nostri ricchi, i nostriproprietarii hanno tutti, chi più, chi meno,ricevuto un’educazione letteraria e scientifica sia in collegio, sia in famiglia, e tra loronon pochi potrebbero con decoro sedere inuna cattedra; ma egli è appunto codesta educazione letteraria e classica, che, per ciòche concerne l’economia, è una completa ignoranza.

Non col latino, e col greco, noncon la poesia e le cognizioni storiche si puòmettere su una fabbrica, intendere il valored’una macchina, apprezzare un’istituzione economica e civile.

Ci vuole ben altro chequeste miserie dotte, onde l’istruzione ci hafatto, e continua a farci creature inutili e presuntuose.

Il culto esclusivo del greco, edel latino, gli studii esclusivi di filosofia, diteologia e di diritto sono stati la rovina diItalia si negli ordini politici, e si nei letterarii:ci han renduto nazione oziosa, imitatrice diun passato che non può rinascere, attaccata aquel passato e nemica del progresso; ed il malvezzo continua, e mentre tanti miserabili romanzi, e tra questi i miserabili di Victor Hugo trovano traduttori e lettori, né lettori, nè traduttori ha trovato la bella collezione che ha fatto il Roret di Manuali per ogni arte e mestiero.

La scuola politecnica è il nostro assoluto bisogno: ecco il rimedio all’ignoranzadel popolo e del ricco.

È d’uopo che la Fisica e la Chimica siano rendute popolari comeil Catechismo di religione, ed in tutti i capoluoghi s’istituiscano grandi scuole, dovel’arti non s’imparino sui libri, ma col fatto,dove il maestro non dica: Così si fa la vernice, così si tinge, così si lavora l’acciaro,ma faccia la vernice, tinga la stoffa, lavoril’acciaro alla presenza dei giovani.

Chimica,fisica, meccanica si studiano tra noi da duein cento; ed anche questi due ne sanno o ipiccoli fatti, che alimentano i giochi e la curiosità, o le generalità somme che sono infruttuose, e non mai la parte pratica.

InFrancia non fu così. Tosto che Lavoisier cangio l’aspetto della chimica, Chaptal ne fecel’applicazione all’arti, e quel movimento iniziato su due linee, l’una intorno alla scienza, e l’altra intorno all’arte arricchì, e continua ad arricchire quel paese, e despota lo fece della moda e dell’eleganza.

Torneremo meglio su questo proposito nell’esporrelo stato della pubblica istruzione tra noi, edallora indicheremo i fondi, cui possiede laprovincia per darci una scuola politecnica.

Ora riassumendo: Dicemmo causa delle pessime condizioni di nostre industrie l’inerziae l’ignoranza del popolo e dei proprietarii.

Ebbene! il popolo cesserà di essere inertecon la quotizzazione dei terreni comunali, edil proprietario con la distruzione del feudalismo domestico; e popolo e proprietarii finiranno d’essere ignoranti con le scuole politecniche.

Ma ciò non basta. Fonti delle ricchezze, abbiamo detto, sono terre, lavoro ecapitali. Or chi darà i capitali al popolo nostro? Chi gli assicurerà il lavoro? Ecco l’ultimo problema che ci resta a risolvere nelnumero venturo””””.

Povero don Vincenzo. Gli verrebbe un coccolone, nàgùccia, se potesse constatare che fine hanno fatto le sue speranze, le rosee previsioni circa il miglioramento delle condizioni socio-economiche nella provincia cosentina, oggi spopolata dall’emigrazione e con le terre in gran parte abbandonate, specie quelle delle zone montane dove interi nuclei abitati sono per la maggior parte semi deserti ed in rovina.Altro che la sua preconizzata rinascita delle terre calabresi

Maggio 2021-Minucciu

 

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