Una vita in fuga…di Pasquale Giannino

La Redazione & Pasquale Giannino

Una vita in fuga – Racconto apparso su Oggi Famiglia

3 marzo 2010 alle ore 11.56

Il paese era in festa. Come sempre, d’estate, le vie gremite di giovani con abiti alla moda. Gianni era un adolescente timido. Andava bene a scuola e prendeva lezioni di pianoforte. Aveva concluso il primo anno di liceo scientifico con la media dell’otto. Non era riuscito a superare l’esame di ammissione al conservatorio, ma continuava a recarsi due volte la settimana dal maestro Iannuzzi.

“Non devi scoraggiarti Gianni, capitò anche a Giuseppe Verdi!”

“Maestro, io penso di non esserci portato.”

“Studio, Gianni, applicazione! Sai cosa diceva il grande Rossini?”

“Non ne ho idea.”

“Solo il dieci per cento dell’arte è dovuta al talento. Il rimanente è studio!”

San Donato di Ninea (CS)

E intanto suo padre Antonio, insegnante di matematica, si recava ogni mese dal collega per pagargli le lezioni: trentamila lire l’ora. Sua madre si era diplomata da maestra, ma non avendo superato il concorso – dopo alcuni anni in giro con la vecchia Cinquecento per le supplenze – decise di votarsi alla famiglia. Aveva un altro figlio di un paio d’anni più piccolo, Francesco, molto più estroverso e casinista. Antonio, per arrivare alla fine del mese, arrotondava con lezioni private.

Gianni detestava il gioco del calcio e lo sport in genere. L’ora di educazione fisica era per lui una sofferenza. Se ne stava in disparte a osservare i suoi compagni euforici e spensierati. Non aveva amici. Trascorreva il tempo libero a leggere racconti di avventura e talvolta si recava in piazza, entrava nel bar e chiedeva un gelato. Frattanto osservava i grandi che affollavano il locale: alcune persone dalla barba incolta e trasandate giocavano a carte tra urla e imprecazioni di ogni genere; un signore dall’aria distinta, i gemelli d’oro e un fiore all’occhiello, giocava a biliardo col barista Luigi, uomo di mezza età calvo e allampanato, la sigaretta sempre accesa; nella sala attigua, nugoli di ragazzini incollati ai videogiochi.

Gianni rimaneva nel suo cantuccio il tempo necessario per finire il gelato. Si sentiva un estraneo in mezzo a quella gente chiassosa. L’odore del fumo lo stordiva. Se ne andava con un profondo senso di nausea e di indefinito malessere. D’estate ritornavano gli emigranti. Le vie si affollavano di giovani allegri e sicuri di sé, dalla profonda inflessione settentrionale. Si udivano anche accenti toscani, romani, partenopei. Le auto di grossa cilindrata con targa straniera stentavano a trovare posto. Insomma, il paese pareva svegliarsi da un profondo letargo. Cedeva il posto a una comunità nuova, straordinariamente variegata: una comunità che ospitava tanti piccoli frammenti dell’Italia e del mondo. Gianni era sempre solo. Ma si sentiva rinascere anche lui. Il signore distinto del biliardo rimaneva sempre in piazza a dispensare sorrisi e strette di mano. Luigi era indaffarato dietro al bancone e sembrava piuttosto insofferente, come se quella moltitudine fosse giunta apposta per infastidirlo. Pareva aspettare con trepidazione il ritorno alla normalità: i commenti sul campionato di calcio, le partite a biliardo, qualche bicchiere in compagnia dei soliti avventori. Gianni sognava di diventare grande e andare al nord. Ritornare ogni estate in paese, ben vestito e con una bella auto, e attraversare la piazza sicuro di sé e stringere la mano a tutti e offrire da bere.

 

Vent’anni dopo. Luigi se n’era andato per un tumore al polmone. Gli ex ragazzini della sala si erano spostati ai tavoli, trasandati anche loro, le stesse imprecazioni di un tempo. Il signore distinto era un vecchio agghindato. Andò incontro a Gianni appoggiandosi a un bastone.

“Bentornato, dottore! Come va lassù?”

“Non c’è male, cavaliere, si lavora tanto ma le soddisfazioni non mancano.”

“Beh, qui da noi si vive meno stressati, ma con quale prospettiva per i nostri figli? Noi persone agiate di una volta pensavamo che bastasse farli studiare e trovare gli amici giusti… Ci eravamo illusi che quel sistema clientelare durasse in eterno. Frattanto i settentrionali si rimboccavano le maniche e producevano… Ho un figlio della sua età. Si è laureato con lode alla Bocconi. Ha un impiego a tempo determinato presso una società di consulenza, nel milanese. Lavora dieci ore al giorno e riesce a stento a pagarsi l’affitto.”

“La vita oggi è molto cara e gli stipendi sono affatto inadeguati.”

“Abbiamo sbagliato tutto… E ora voi ne subite le conseguenze.”

Gianni si appartò in un cantuccio. Osservava i passanti e gli sembravano stranamente malinconici. I giovani vestiti alla moda con l’accento del nord gli apparivano annoiati e depressi. Quell’aria di festa della sua adolescenza restava solo uno sbiadito ricordo. Il paese ritrovò presto la sua veste abituale, le vie semideserte, le foglie portate dal vento, i soliti anziani alle panchine lambite dagli ultimi sprazzi di sole. I soliti ambulanti si inerpicavano fra gli angusti vicoli sostando a ogni piazzetta; le comari si affrettavano verso il mezzo, alcune rincasavano a mani vuote ma soddisfatte in ogni caso della sortita, di avere scambiato quattro chiacchiere sul tempo, sui prossimi matrimoni, sulle cerimonie in chiesa e altre vicende di vita paesana. I ragazzini andavano a scuola e nel pomeriggio si ritrovavano al bar, incollati ai soliti videogiochi nella sala adiacente ai tavoli dei loro padri, che giocavano a carte e imprecavano in continuazione. Il distinto cavaliere giocava a biliardo col nuovo giovane barista. Nessuno sembrava ricordarsi più dei giorni di festa, degli emigranti, di quel periodo straordinario in cui il paese accoglieva i suoi figli sparsi per il mondo e le vie brulicavano e si udivano voci e schiamazzi e dialetti di ogni genere. La notizia della morte di Gianni colse tutti di sorpresa. Lo trovarono privo di vita nel monovano che aveva acquistato da poco con un mutuo ventennale. Il capoufficio e i colleghi di lavoro inviarono un telegramma di cordoglio. Se ne parlò per circa un mese, poi ognuno si immerse nelle proprie occupazioni. Giunse l’estate. E le vie ritornarono gremite di giovani con abiti alla moda e l’accento del nord.

Pasquale Giannino

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1 commento

    • Giovanni il 30 Marzo 2014 alle 13 h 07 min
    • Rispondi

    Una bella disamina della nostra realtà. Ciao Pasquale.

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