Luigi Bisignani
San Donato di Ninea 20 Agosto 2025
Ziu Saminu!!(Saverio Bisignani)
Ah, zio Saminu Bisignani — un personaggio che sembra uscito da un romanzo, ma era più reale e brillante di qualsiasi invenzione letteraria. Il primo capellone del paese, con quella chioma ribelle che sfidava le convenzioni e annunciava al mondo che lui pensava in grande. Un genio del commercio, sì, ma anche un artista dell’ingegno quotidiano.
️ Il commercio secondo Saminu
In quella foto d’epoca, lo vediamo circondato da bambini, occhi pieni di meraviglia e mani tese con… pezzi di legno. Perché per zio Saminu, il denaro era solo un dettaglio. I bambini ricevevano il gelato — fresco, dolce, fatto con amore — e pagavano con un pezzo di legno. Ma ecco il colpo di genio: Ziu Saminu poi rivendeva la legna. Un’economia circolare ante litteram, un baratto poetico che trasformava il gioco in guadagno.
-Visionario e ribelle
Non era solo un commerciante, era un visionario. Dove gli altri vedevano limiti, lui vedeva possibilità. Dove gli altri seguivano le regole, lui le reinventava. E quella chioma fluente era il suo vessillo: un segno che pensare fuori dagli schemi non era solo permesso, ma necessario.
–Un uomo del popolo
Zio Saminu non vendeva solo gelati. Vendeva momenti di felicità, costruiva fiducia, e insegnava — senza mai salire in cattedra — che l’intelligenza non sta nei libri, ma nel saper leggere il cuore delle persone.
-Il Gelataio della Legna
Nel piccolo borgo di San Donato, dove il tempo sembrava scorrere più lentamente e le voci dei bambini si mescolavano al profumo del pane appena sfornato, viveva un uomo che nessuno dimenticava: Saverio Bisignani, detto “Ziu Saminu”. Non era solo il primo capellone del paese — con quella chioma folta e indomabile che pareva sfidare il vento — ma anche il più astuto commerciante che la gente avesse mai conosciuto.
Ogni pomeriggio d’estate, Saminu si piazzava davanti alla vecchia scuola con il suo carretto dei gelati. Non era un carretto qualunque: era dipinto a mano, con colori sgargianti e una campanella che suonava come una promessa di felicità. I bambini correvano da ogni angolo del paese, stringendo tra le mani non monete, ma pezzi di legno. Bastoncini, rametti, scarti di falegnameria — tutto valeva.
«Un gelato al limone per un bel pezzo di quercia!» diceva Saminu, con un sorriso furbo e gli occhi che brillavano sotto la sua chioma ribelle.
I bambini ridevano, felici di quel baratto magico. Ma il vero colpo di genio veniva dopo: Saminu raccoglieva tutta quella legna e la rivendeva ai fornai, ai fabbri, ai contadini. Aveva creato un’economia parallela, dove il gioco diventava commercio e il commercio diventava poesia.
La gente lo ammirava, anche se non sempre lo capiva. «Quel Saminu è matto,» dicevano alcuni. «No,» rispondevano altri, «è solo troppo avanti per noi.»
Un giorno, un forestiero arrivò in paese e chiese: «Chi è quell’uomo con i capelli da artista e il carretto da sogno?»
Un bambino rispose: «È Ziu Saminu. Vende gelati, ma insegna a vivere.»
E così, tra un cono alla fragola e un pezzo di legno, Saminu lasciava il suo segno. Non sui libri di storia, ma nei cuori di chi aveva avuto la fortuna di incrociare il suo sorriso.
-Ziu Saminu e il Regno delle Angurie
Dopo aver conquistato il cuore dei bambini con il suo carretto dei gelati e la sua economia a base di legna, Saminu decise che era tempo di espandersi. Non uno, non due, ma tre nuovi regni sorsero sotto il suo nome: un bar, una macelleria e un negozio di generi alimentari. Ma il vero colpo di scena arrivò d’estate, quando il paese si svegliò con un rombo di motori e un profumo dolce nell’aria.
Camion interi di angurie arrivavano da ogni angolo del Sud. Rosse come il tramonto, fresche come la brezza marina, e grandi come la testa di Don Francesco, il parroco. Ziu Saminu le sistemava in piramidi perfette davanti al suo negozio, e la gente accorreva come se fosse festa.
«Angurie da battaglia!» gridava. «Una fetta e vi passa la malinconia!»
Nel bar, serviva granite d’anguria con foglie di menta e un pizzico di sale, mentre nella macelleria proponeva l’innovativa “salsiccia all’anguria” — che nessuno capiva, ma tutti volevano provare. E nel negozio, vendeva semi d’anguria come “portafortuna agricoli”, garantendo raccolti abbondanti e suocere più gentili.
Il paese non era mai stato così vivo. I bambini giocavano tra le casse, gli anziani raccontavano storie sotto l’ombrellone, e Saminu, con la sua chioma ribelle e il sorriso da stratega, osservava tutto come un re soddisfatto.
Un giorno, il sindaco gli chiese: «Ma Saminu, qual è il tuo segreto?»
E lui, con una fetta d’anguria in mano, rispose: «La gente vuole sogni. Io glieli vendo a fette.»
-Il Mercante delle Stagioni
Quando l’autunno vestiva il paese di foglie dorate e l’aria profumava di fumo e terra umida, Saminu non si faceva trovare impreparato. Girava per le contrade con il suo furgoncino scassato ma instancabile, comprando castagne dai paesani. Non una, non cento — ma quintali. Le pesava con una bilancia che sembrava uscita da un film western, e pagava in contanti, con la precisione di un notaio e il sorriso di un amico.
-Il Kakino delle Castagne
Nel cuore dell’autunno, quando le foglie danzavano tra i vicoli e il profumo di legna arsa riempiva l’aria, Ziu Saminu tornava a reinventare il mercato. Questa volta, il protagonista era il kakino — quel frutto dolce e arancione che in paese chiamavano così, con affetto e semplicità.
Saminu girava tra le case con una cesta piena di kakini maturi, lucidi come monete d’oro. Ma non li vendeva. No, troppo banale. Li scambiava con castagne.
«Un kakino per una manciata di castagne!» gridava, e la gente accorreva. I bambini portavano sacchetti, le nonne tiravano fuori le scorte, e i contadini facevano i conti: “Se gli do tre chili, mi dà sei kakini e un consiglio sulla vita.”
Era un baratto poetico, ma anche strategico. Le castagne, Saminu le rivendeva a Napoli, come sempre. I kakini, invece, li usava per fare marmellate, dolci, e persino una “grappa al kakino” che faceva girare la testa e il cuore.
Un giorno, un forestiero gli chiese:
«Ma perché non vendi direttamente i kakini?»
E lui, con la sua chioma al vento e un frutto in mano, rispose:
«Perché il commercio è come l’amore: funziona solo se c’è scambio.»
Poi, via verso Napoli. Le castagne diventavano oro: vendute nei mercati, nei porti, ai pasticceri e ai venditori ambulanti. “Castagne di Bisignani,” dicevano, “le più dolci del Sud.” E lui, con la sua chioma sempre più selvaggia, tornava al paese con il portafoglio pieno e nuove idee in testa.
-Ma il vero colpo di genio arrivava nel periodo dell’uccisione del maiale.
Mentre gli altri pensavano solo a salsicce e prosciutti, Saminu osservava… i peli. Sì, i peli dei maiali. Li raccoglieva con cura, li faceva asciugare al sole, e poi li rivendeva ai fabbricanti di pennelli artigianali nel Naploetano. Pennelli da pittura, da barba, da calligrafia. Ogni ciuffo aveva un valore, ogni maiale diventava un’opera d’arte.
«Dove gli altri vedono scarti, io vedo strumenti,» diceva.
E la gente lo guardava con rispetto, anche se non sempre capiva.
Nel bar, tra un caffè e una fetta di torta all’anguria, raccontava le sue avventure: il mercante napoletano che voleva pagarlo in limoni, il pittore francese che cercava solo peli di maiale calabrese, il contadino che gli offrì un maiale intero in cambio di un pennello.
Questo era mio zio “UN GENIO” d’altri tempi era amato da tutto il paese.
Luigi Bisignani (Gigiotto)


