Luigi Bisignani
San Donato di Ninea 09 Ottobre 2025
Case chiuse: la storia delle case di una volta
Un viaggio nella memoria delle abitazioni rurali Sandonatesi, quando le porte restavano aperte e il fuoco era acceso tutto l’anno.
La semplicità che univa
C’erano una volta le case piccole, quelle dove tutto era a misura d’uomo. Le porte erano divise in quattro parti: la parte superiore restava quasi sempre aperta, anche la sera. Nessuna serratura, solo un gesto semplice — si appoggiava la porta e si augurava “buonanotte e sogni d’oro”.
Al mattino, dalle ante superiori, ci si affacciava per vedere chi passava. Era la televisione di allora: la vita che scorreva per la strada. Bastava un saluto, un sorriso, e anche uno sconosciuto diventava subito parte della comunità.
Architetture che raccontavano la vita
Le case di un tempo avevano muri in pietra spessi più di mezzo metro, architravi in castagno e scale consumate dal passaggio di generazioni. Le ante inferiori restavano chiuse per tenere lontani gli animali, mentre sopra il legno respirava la vita del paese.
Salendo le scale si trovava un’altra abitazione; scendendo, una cantina fresca dove si conservavano vino e conserve. Da una piccola finestra si intravedeva un camino, le travi di castagno, i coppi a vista, un armadio e una cassapanca segnata dal tempo. Tutto essenziale, ma pieno di calore.
Sui gradini ci si sedeva a parlare, a riposare dopo una lunga giornata nei campi, mentre i bambini giocavano nella piazzetta di sotto. Ogni pietra raccontava una storia, ogni casa custodiva una famiglia numerosa: il sarto, il contadino, il falegname, il lattoniere. Ognuno aveva un mestiere e un ruolo nella comunità.
Sapone, cenere e sapienza
Una volta pubblicai una foto di un’anziana signora che mescolava qualcosa in una grande pentola di rame. Pensavo stesse preparando la conserva o il vino cotto. In realtà, come mi raccontò poi la nipote, stava facendo il bucato.
Un’altra donna del mio paese mi spiegò:
“Gigió, mettevamo la cenere e bollivamo i panni. Diventavano bianchi come la neve. La cenere disinfettava.”
Il sapone si faceva in casa, riciclando l’olio usato per friggere. Si filtrava, si lasciava riposare e poi si aggiungevano potassio e detersivo in polvere. Nulla andava sprecato.
La cenere lavava i panni e fertilizzava le piante; l’olio esausto diventava sapone. Tutto tornava utile, tutto aveva un senso.
Un anziano una volta mi disse:
“Il fuoco è buono 365 giorni all’anno.”
E aveva ragione. Quel piccolo camino serviva per riscaldare, cucinare, lavare. Bastava qualche pezzo di legna secca raccolta nei boschi o nei campi, e la vita andava avanti.
Quando avevamo poco, ma avevamo tutto
La sera, sui gradini, si raccontavano le storie più belle. Poi tutti a letto presto, in attesa della luce del sole. Sempre con il sorriso.
Oggi, invece, abbiamo tanto, forse troppo. Le case sono grandi, i muri sottili, i condizionatori fanno caldo d’inverno e freddo d’estate. Ma nelle case di pietra, d’estate il caldo restava fuori e d’inverno bastava il fuoco del camino per riscaldare tutto.
Abbiamo sostituito la cenere con i detersivi, l’orto con il supermercato, la chiacchiera in piazza con lo schermo del telefono. Eppure, qualcosa si è perso.
I bambini non giocano più per strada, il sugo non ha più lo stesso sapore, e il profumo del bucato non sa più di camino e di cenere.
Le case che ancora parlano
Quelle piccole abitazioni, con le rughe del tempo e il respiro del legno, hanno ancora un’anima. Guardandole capisci che, quando non avevamo nulla, in realtà avevamo tutto: il calore, la condivisione, la semplicità di una vita vera.
Le “case chiuse” di una volta non erano fatte per escludere, ma per proteggere. Oggi ci ricordano che dietro ogni porta socchiusa c’era un mondo aperto — fatto di mani che lavoravano, fuochi che ardevano e sorrisi che non avevano bisogno di chiavi.
Erano altri tempi…un’altro mondo…un’altra vita!!!


