Sàntudunàtu nà pìcchi ì stòria:Priscenti 01

Luigi Bisignani

Sàntudunàtu nà pìcchi ì stòria

Fra i racconti degli anziani, quelli riguardanti le vicende di personaggi protagonisti delle rivolte contro le prepotenze di nobili, notabili, galantuomini verso il popolo minuto, avevano maggiore presa sulla fantasia di noi ragazzini, affascinati da questi eroi romantici. Eravamo attratti dal personaggio animoso che non si rassegnava alla sopraffazione e reagiva contro il potere sapendo di rischiare bando, miseria e costrizioni alla fame, tutti presupposti del divenire malfattore.

Si pendeva dalle labbra del narratore quando questi raccontava le vicende dell’unico sandonatese ad aver imboccato la strada del brigantaggio e che ci veniva rappresentato come un poveraccio perseguitato dalla malasorte e come un brigante galantuomo, poi ingannato da amici avidi e traditori che lo uccisero per impossessarsi dei suoi averi.

Stiamo parlando di Priscenti, soprannome di Saverio IANNUZZI, nato in San Donato il 7/5/1817 da Antonio e da Cherubina Iannuzzi. (2)

Come d’uso all’epoca, Saverio trascorse l’infanzia appresso il padre bracciante ma all’età dodici anni perse entrambi i genitori. In quei tempi, per un orfano, l’unica risorsa per non morire di fame era legarsi ad un possidente od un massaro come “furìsi”, il che equivaleva alla condizione di servo-schiavo, vestito male e nutrito peggio, esposto alle intemperie ed ai rigori delle stagioni, tutte situazioni-condizioni che andavano a sostituire il calore e l’affetto dei genitori, con prevedibili ricadute negative sul carattere e sull’indole personale di chi aveva la sfortuna di sperimentarle.

All’età di venti anni, Saverio si procurò il soprannome che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita perché, nel rispondere ad una guardia urbana, sbagliò a pronunciare la parola presente e disse “priscenti”.

Sposò Maria Maradei, descritta di belle fattezze, e divenne bracciante, laborioso e tranquillo. Come buona parte dei sandonatesi dell’epoca, dopo una settimana di duro lavoro “ccù zàppùni”, in compagnia di altri pari condizione trovava passatempo e ristoro presso una delle tante cantine del paese, magari giocandosi il mezzo litro “àra mùrra” o improvvisando rime “ara pàssatèddha”.

Quella domenica però Saverio bevve più del dovuto e come spesso capitava, si trovò coinvolto in una rissa. Diede mano al coltello e ferì certo Vincenzo Iannuzzi che dopo poco né morì.

Condannato a parecchi anni di galera li scontò coltivando  la speranza di ricongiungersi alla moglie. A fine pena tornato in paese, ebbe notizia che la consorte era deceduta. La raggiunta libertà venne guastata da un’annata di carestia che causò fame, assenza di lavoro, circostanze che andarono a gravare su solitudine e diffidenza verso un omicida.

Si tramandava che Priscenti si offrì di lavorare presso chiunque per un piatto di minestra, senza esito. Durante il suo peregrinare ebbe la ventura di bussare alla porta della casa colonica di un ricco massaro chiedendo del cibo. L’aspetto e l’espressione non dovevano essere dei migliori ed il massaro ebbe paura. L’essere uscito dal carcere, i tempi poco sicuri e l’ac cetta che Priscenti portava con se, consigliarono il massaro a tergiversare ed allontanarsi con la scusa di andare a comperare le derrate alimentari che avrebbero mangiato assieme. Invece recatosi in paese, chiese soccorsi ad una guardia urbana che arrestò Priscenti per estorsione.

Ritenendo d’essere stato carcerato e condannato ingiustamente, Priscenti non esitò a fare comunella con  altri delinquenti, coi quali, alla prima occasione, evase e si diede alla macchia. Durante la latitanza deve aver considerato che, ricercato dalla legge, solo e senza parenti e privo di mezzi di sussistenza, non avrebbe conservato la libertà per molto. Decise di seguire i compagni di evasione e divenire brigante presentandosi ad una delle tante bande che operavano nel circondario.

E’ stato ipotizzato che Priscenti possa essere stato accolto nella banda di Francesco La Valle. (2). Altri ipotizzano che sia evaso con elementi dei “saracinari” e che i primi passi da brigante li abbia mossi proprio con la banda omonima. (3)

Altre fonti danno Priscenti membro della banda di Antonio Franco, la quale operava a cavallo del confine calabro-lucano, fra i territori di Castrovillari e Lagonegro. Nella banda Franco era incorporata ed organica quella dei “saracinari”. (4)

Prima di addentrarci nel periodo in visse da brigante e narrare come e dove finì, è bene precisare che la personalità di Priscenti, viene diversamente descritta e rappresentata con molte sfaccettature.

Abbiamo detto che la tradizione popolare ce lo consegna come eroe romantico. Taluni (2) lo presentano come derelitto vittima del destino e della cattiveria degli uomini. Di Priscenti si sostiene anche che non era immune da sentimenti di crudeltà estrema, come ci tramanda un episodio di cui fu protagonista (2).

Ottobre 2013

Minucciu

 

(1) cfr. appendice del volume Ninaia, sulla storia sandonatese, di prossima pubblicazione.

(2) cfr volume San Donato di Ninea di Vincenzo Monaco, edito in Velletri nel 1987

(3) cfr volume Castrovillari miscellanea di Ettore Miraglia, edizioni Prometeo.

(4) cfr.La fine della banda Franco; La Basilicata di E. P. Rossi, edizioni Casari,Salerno.

(5) cfr:Terra ribelle, 1860 1865, il Brigantaggio post unitario nell’area del Pollino. Novembre 2012

 

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