a chiazza da siddhata o Siddrata !!

Luigi Bisignani … 23 Aprile 2012

Ricevo e pubblico con molto piacere questo bellissmo racconto sulla nostra piazza sa Siddrata.

Chjanteddha

All’età di circa dodici anni circa ho avuto il consenso alle prime uscite serali, nella sola stagione estiva e con obbligo di rientro massimo alle dieci e trenta della sera. Non che San Donato avesse quartieri a rischio; era l’uso ed i genitori non venivano a compromessi, così usava e così bisognava adeguare i comportamenti.

Era ancora l’età dei giochi, ma vi erano le avvisaglie delle prime simpatie, quasi mai apertamente corrisposte, verso le coetanee e delle prime curiosità verso le situazioni pratiche della vita.

Luogo di ritrovo preferito era naturalmente “a chiazza da siddhata”, ombelico sandonatese ove tutti si ritrovavano, tutto accadeva e di tutto e tutti si sapeva. A siddhata era virtualmente divisa in tre “zone: la prima “l’alboretti o arboretti” che era la parte estrema, davanzale naturale, da quale ammirare i pendii delle Serre e “a costa da terra” in alto, mentre in basso si godeva la vista “ do pantanu” e delle valli circostanti; la parte al centro, lo slargo vero e proprio che, mi risulta, abbia cambiato toponomastica e me ne dispiace, e “u barru i zia Teresa” con i pochi metri adiacenti, destinati ai tavoli all’aperto durante il periodo estivo. Non che il comune avesse posto dei divisori; erano i frequentatori che per consuetudine ne tramandavano modi d’uso e destinazione.

Alboretti o arboretti era il luogo di sosta, scambio delle ultime novità, pettegolezzo compreso, di discussione e di confronto, nonché terminale e ripartenza delle passeggiate che avevano altro capolinea nei pressi “da chjianca Artusu”.

Lo slargo, a siddhata vera e propria, era destinato, a sosta delle rare automobili, tre o quattro; zona di fermo temporaneo per quelli impegnati in discorsi e trattative e per chi guardava gli accadimenti oppure aveva voglia di stare al centro della piazza; il maggior uso lo avevano i ragazzi che potevano liberamente giocare anche in modo chiassoso (libera è presa era il più gettonato). “U barru ì zia Teresa”, noto come “barru i Caconi” era luogo di riunione e passatempo, inaccessibile, come luogo di solo svago, a quelli della mia età ed a quelli d’età inferiore ai sedici anni. Ziu Franciscu di detta regola era il custode, per via di un vecchio verbale dei Carabinieri che gli era costato qualche carta da mille.

Unica eccezione al divieto d’accesso era l’arrivo della tappa del Giro d’Italia, generalmente verso le cinque pomeridiane. Per l’occasione, la presenza a godere dell’evento sportivo, era tollerata. Il televisore, schermo verso l’interno del bar, era posizionato sopra l’ingresso e quindi, in caso di avvistamento delle divise, un passo bastava a mettere fuori della porta gli spettatori minorenni.

L’area contigua all’ingresso era luogo di sosta temporanea per gli avventori in entrata o uscita, nonché luogo di ritrovo per gli appuntamenti; “nni truvamu nnanti u barru i Caconi”, si diceva. D’estate era teatro di feroci partite a carte a “squàtra” a “tràsi e ghjièssi”, “ccù fràncu”. Si iniziava un’oretta circa dopo il pasto di mezzogiorno con “trissetti, briscula e scupa” per stabilire la coppia che avrebbe pagato il caffè per tutta la squadra che poteva contare fino ad una quindicina di persone, divisa a turni di gioco, sui due dei tavoli esterni. Poi iniziava il divertimento vero e proprio,ossia le partite a “birra e gazzosa, birra e chinotto, birra e cocktail”. Ad ogni partita si giocava per “dui birri, cchjù…” e visto il numero dei partecipanti la posta era insufficiente. Per consuetudine veniva scelta la formula “patruni e sutta”, nel senso che il padrone poteva disporre delle bevande solo per se mentre per tutti gli disponeva e comandava il sotto con conseguenze immaginabili visto che poteva succedere che anche chi aveva perso, nominato “patroni o sutta”, poteva disporre, ad arbitrio, delle bevande. La scelta di come individuare “patruni e sutta”era affidata alle carte; le regole erano generalmente “frusciu e primera”, “setti e mienzu”, oppure carte singole o accoppiate delle medesime.

Fu durante una delle uscite serali ara siddhata che, dopo aver condiviso il ruolo di guardiani dei “presi” nel gioco di libera e presa, entrai in confidenza con un quasi coetaneo che, per via di una sua caratteristica, aveva soprannome Chjanteddha. Come ho avuto modo di specificare, da ragazzi si preferiva giocare nel proprio quartiere, fra gente che si conosceva, quasi dalla nascita e gli “straini” difficilmente venivano accolti, a meno ché avessero un parente in vicinato. Questa regola non valeva “ppà Siddhata” che risultava “zona franca”, neutra dove le maglie della diffidenza si allargavano. Chjanteddha aveva un paio d’anni più di me, non era del mio vicinato, non lo frequentavo ma lo conoscevo di vista, ed a San Donato sarebbe stato strano il contrario; aveva “ annumminata” di bravo ragazzo, non era di corporatura robusta, anzi parava all’esile ed era molto compito e signorile.

Non sempre si giocava, talvolta, stanchi, ci si avvicinava agli alboretti e si stava ad ascoltare i discorsi che tenevano i più grandi, riuniti in gruppi spontanei e casuali, dato che chi aveva da discutere faccende delicate o di natura privata, si allontanava e lo faceva passeggiando nella tratta arboretti-Artusu e ritorno. Ad una certa ora l’argomento di discussione scivolava sul pettegolezzo e si commentavano gli accadimenti più recenti, compresi amori e relazioni correlate. Anche il sesso e l’attività sessuale, vera o presunta, dei convenuti era oggetto di discussione e di vanterie. Noi ragazzi eravamo curiosi come faine ed assimilati a spugne pronte ad assorbire qualsiasi particolare venisse raccontato. Eravamo nella fase della preadolescenza, in subbuglio ormonale ed alle prese con i primi approcci all’autoerotismo. Quei racconti, per quella età e quei tempi, erano come manna dal cielo, fatta cadere dai “granni” ed esclusiva fonte di “istruzione” e “formazione sull’argomento. La stampa dai contenuti osè era agli albori; presso la rivendita di Bonanno c’erano si riviste “calde” ma vietate ai minori. I ragazzi più vivaci e fortunati le poteva ricevere di “seconda mano” e sottolineo il termine. Le foto “succinte” erano roba da educande, se confrontate con le sgambature che era possibile vedere, fino a due anni fa, a Miss Italia.

Col senno di poi ho realizzato che “i granni” si divertivano un mondo a raccontare “faloppe” e che nei loro racconti vi erano argomenti di completa diseducazione in materia di sesso, roba da galera. Rammento che quando l’oggetto di discussione era il sesso, Chianteddha “arrussicavadi” ma non perdeva una parola. Contrariamente al resto del gruppo di ragazzi che, sfiorando anche la presa in giro, faceva domande e chiedeva spiegazioni, Chianteddha taceva.

La primavera dell’anno successivo Chianteddha appariva svogliato e non prendeva parte ai giochi, era sempre stanco ed usciva di casa malvolentieri. Il padre preoccupato lo porta da Don Pippinu che, visitato il ragazzo, concluse per una forma di anemia e deperimento organico e prescrisse una forte cura ricostituente.

Dopo qualche settimana, sempre agli arboretti, dai discorsi dei granni, si venne a sapere che il padre di Chianteddha, volendo avvertire il figlio che la cena era pronta, era salito nella camera e lo aveva sorpreso mentre era concentrato a…..studiare una rivista…. per adulti…di seconda mano e, mentre guardava le discinte foto…armeggiava.

“E ghja c’àju spièsu l’uòcchj ppì ttì curà; puòrcu; avòglia i jì a Sansosti p’accattà bistecchi; avòglia i jì àra farmacia e accattà midicìni, i mani t’àvia tagghjà; questi gli improperi dell’allibito genitore. Galiùotu, nfèci i ti curà ti tiravasi i pugnetti, tàdda siccà à mànu; ti cciàddha fà nà cancarèja sù fàsi ancora”; questo fu il viatico materno per Chianteddha.Questa la versione dei fatti raccontata ara Siddhata da chi, dalla strada, aveva sentito e seguito urlacci, rimproveri e garamèddhi di genitori convinti che la eccessiva attività “solitaria”del figlio, oltre che rovinare la salute e causare il deperimento organico, fino ad allora era costata alla famiglia un capitale in medicine.

aprile 2012

 

Minucciu.

Permalink link a questo articolo: http://www.sandonatodininea-cs.it/2012/04/23/a-chiazza-da-siddhata/

9 commenti

Vai al modulo dei commenti

    • Giovanni Benincasa il 23 Aprile 2012 alle 20 h 10 min
    • Rispondi

    Saluti cordialissimi a Minucciu! Giovanni

  1. Assunta posso assicurarti che sono due persone differente…ma sandonatesi tutti e due …
    un caro saluto

    • Andrea Toscano il 24 Aprile 2012 alle 9 h 39 min
    • Rispondi

    Credo che non servano parole per ricordare come scrive e cosa scrive (io l’ho conosciuto solo attraverso questo giornale) ma credo che bisognerebbe cominciare a pensare a come utilizzare al meglio questa importantissima memoria storica sandonatese e come nel contempo gratificarla riconoscendone pubblicamente i meriti.
    Le “storie” di Minuccio sono, a mio avviso, la cosa migliore di questo giornale senza togliere o aggiungere niente alla validità del giornale stesso e al suo Direttore che è altrettanto grande e che forse sono due facce della stessa medaglia.
    Un grazie ad entrambi

    • Giovanni Benincasa il 24 Aprile 2012 alle 12 h 32 min
    • Rispondi

    Sig.ra Assunta, io e Minucciu siamo due persone differenti e credo con esperienze d’istruzione e quindi professionali molto diverse. Sul nostro giornale, Minucci, è come se stesse un po ricostruendo il modo di essere dei Sandonatesi, mentre io ho appena scritto un tre o quattro articoli ma su fatti attuali. Il titolo stesso, su ciò che scrive Minucciu, lo dice: “come eravamo”. Su ciò che scrive Minucciu credo sia apportuno farne una raccolta è pubblicarla sia come e book che farne un volume e diffonderlo in formato cartaceo e perchè no, farne dono alla biblioteca comunale.
    Giovanni

  2. ciao giovanni per rispondere alla tua idea di fare una raccolta eccola

    http://www.youblisher.com/p/251093-Raccolta-culturale-sandonatese-Come-eravamo-Minucciu/

    e sul giornale la trovi a destra ,schiacciando sull’immaggine trovi la raccolta
    un caro saluto

    • Giovanni Benincasa il 25 Aprile 2012 alle 9 h 34 min
    • Rispondi

    Ciao Luigi, la mia idea relativa alla raccolta di Minucciu va oltre la raccolta che stai realizzando sul giornale interattivo.Raccolta che periodicamente vado a sfogliare. Ovvero quando Minucciu reputa di aver esaurito il suo raccontare, farne un e book da diffondere online ed un libro in formato cartaceo anche da vendere e regalarne qualche copia alla biblioteca comunale a futura memoria. Ciò in considerazione del fatto che di fatto della nostra tradizione popolare non mi risulta ci siano manoscritti reperibili. Questa idea potrebbe essere valida anche per le ricette di cucina tradizionale e comunque di tutto ciò che fa riferimento alla nostra tradizione popolare e di cui non si trova memoria.
    Saluti!

  3. @ giovanni
    Minucciu me ne ha già parlato da un pezzo ,suo figlio vuole farne un libro ….ora aspettiamo l’uscita ;per adesso contentiamoci di questo umile blog/giornale

    ciao tante belle cose

    • Giovanni Benincasa il 26 Aprile 2012 alle 17 h 05 min
    • Rispondi

    Grazie Luigi, va benissimo la notizia che mi hai dato. È importante tramandare ai posteri. Saluti! Giovanni

    • un san donatese il 17 Maggio 2012 alle 12 h 52 min
    • Rispondi

    sono rimasto estasiato dei racconti di minuccio gli faccio i complimenti ogni suo racconti e la trama per un film ,ci fa rivivere l infanzia vissuta a san donato ,mi a colpito molto ,ndeeacreca.spero che qualcuno colga l occasione per farne un bel film .su san donato cmplimenti,per il tuo dialetto sritto .non sono riuscito ad individuare chi sei visto che conosci bene i luoghi della mia infanzia .tipo a carccara i lariettra i palizzi ,santu guardino.bravo di nuovo conplimenti continua cosi ciao ne aprofitto per salutare toscano ,giovanni ,e assunta .

Rispondi a Luigi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.