L’EMIGRANTE ITALIANO, TRA NOSTALGIA ED INTEGRAZIONE

Luigi Bisignani

L’EMIGRANTE ITALIANO, TRA NOSTALGIA ED INTEGRAZIONE

La Nostalgia

Le lettere degli emigranti testimoniano le passioni, i pregi, i difetti della vita della loro vita quotidiana e i drammi incontrati e vissuti così lontani da casa. I dispiaceri più frequenti che dovevano affrontare gli emigrati erano la carenza delle possibilità di comunicazione con i cari rimasti nel paese di origine e la nostalgia, che li attanagliava continuamente e senza tregua. L’emigrante imparava a convivere con i sentimenti della malinconia e della nostalgia. Rimaneva nel Paese ospite solo per necessità di tipo economico, pensando continuamente al ritorno in Patria, quando ritroverà la famiglia, le abitudini, i sapori e gli odori della sua terra che tanto ama.

La consapevolezza del ritorno, alleggeriva le pene della lontananza, il ricordo di tutto ciò che era legato alle proprie origini, permetteva di trovare un po’ di serenità. Il lavoro, la cui ricerca aveva determinato la scelta dell’emigrazione era visto come qualcosa di esterno alla vita e alle scelte, non si ricercava alcuna realizzazione o gratificazione in esso, costituiva qualcosa di temporaneo come lo era la lontananza dall’Italia.

Il ritorno veniva vissuto anche come un dovere, molto spesso era l’occasione per visitare il cimitero dove riposano i genitori e gli altri appartenenti alla famiglia, per ristabilire il contatto con le proprie origini e radici.
Anche la visita ai luoghi dell’infanzia, agli amici, alla casa natia erano tappe obbligate che alleviavano il cuore dell’emigrante e gli facevano ritrovare il suo mondo interiore, messo a dura prova dalle difficoltà di adattamento al Paese di emigrazione. Molti durante queste passeggiate nel passato si chiedevano se emigrare era stata la scelta giusta, dimenticando gli stenti, le difficoltà economiche della loro vita prima dell’emigrazione e le motivazioni che li avevano spinti a questa decisione. Se da un lato quindi l’emigrazione comportava, in linea di massima, per i diretti interessati, un miglioramento delle condizioni economiche e professionali, dall’altro produceva un regresso da un punto di vista sociale, determinato dal conflitto culturale con cui l’emigrato si trovava a convivere sia nel Paese di emigrazione sia quando tornava in Italia.

L’INTEGRAZIONE

L’emigrazione era spesso l’unica occasione che potevano sfruttare questi uomini per migliorare le loro condizioni di vita. La decisione raramente era il frutto di una libera scelta, sapevano che il prezzo da pagare sarebbe stato alto, nonostante tutto affrontavano le difficoltà con coraggio, e con la speranza che un giorno sarebbero ritornati in Patria.

Con il passare degli anni, però, si determinarono alcuni cambiamenti: l’emigrante cominciò ad adattarsi al nuovo ambiente sociale, imparò a convivere con la diversità degli usi e dei costumi, assimilò la lingua e le abitudini di vita e sebbene continuasse a rimpiangere il suo paese natale, il cibo e gli odori della sua infanzia e coltivasse la speranza del ritorno in Patria, non viveva più la sua condizione di emigrante in modo negativo, ma anzi si impegnava per consolidare la sua integrazione, in modo da migliorare la sua condizione.

Dall’analisi delle motivazioni e delle difficoltà incontrate dagli emigranti emergono questi dati:
a) le motivazioni che hanno spinto gli italiani ad emigrare possono essere schematizzate cosi:
1. Mancanza di lavoro;
2. Migliorare le proprie condizioni economiche e di vita;
3. Offrire un futuro migliore ai propri figli;

b) le difficoltà incontrate dagli emigranti possono essere classificate in questo modo:
1. Difficoltà linguistiche;
2. Difficoltà di integrazione sociale;
3. Difficoltà di trovare un lavoro;

Come si può notare, il problema principale dell’emigrato all’estero era la scarsa conoscenza della lingua, che determinava la difficoltà di inserimento sociale.

All’emigrato non mancava una rete sociale, che anzi era molto solida, ma le persone che frequentava erano perlopiù italiane, e provenivano in una buona percentuale dal suo stesso paese. Se questo stato di cose aiutava a sconfiggere la nostalgia di casa, dall’altro determinava una chiusura verso il Paese ospitante.

Molto spesso l’emigrante soffriva di una perdita di identità, poiché si trovava davanti ad un chiaro dilemma: conservare e osservare in modo scrupoloso le abitudini del suo paese, oppure abituarsi ai nuovi usi e costumi, sacrificando sull’altare dell’integrazione la propria identità culturale.

RIFLESSIONI

In definitiva chi emigrava, lo faceva perché voleva migliorare la sua situazione economica e sociale.

I sentimenti con cui gli emigrati approdavano nei nuovi Paesi, erano contrastanti, se da un lato c’era la voglia di affermarsi e “di far fortuna“, per riscattarsi dalla povertà patita in Italia, dall’altro c’era la nostalgia per tutto ciò che apparteneva alla vita nel proprio Paese, i cibi, gli odori, la gente e perfino il lavoro e i sacrifici fatti acquistavano con la lontananza una patina rosea, che faceva sembrare la realtà della vita prima dell’emigrazione meno dura. Molte volte, attanagliati dalla nostalgia, gli emigranti rimanevano all’estero il tempo necessario per guadagnare un po’ di soldi, in modo da poter rimettere a nuovo la casa ereditata dai genitori e poter vivere decorosamente.

Questa scelta, generalmente, non coronava gli sforzi dell’emigrante, che straniero nel Paese di emigrazione, si ritrovava ad essere straniero anche in Patria, poiché la permanenza all’estero aveva operato delle sottili trasformazioni di cui egli stesso non era ben consapevole.

Per contro, chi sceglieva di stabilirsi definitivamente nel Paese di emigrazione, rimaneva legato, non tanto al suo paese di origine come in effetti era, ma al ricordo che aveva di esso. Un ricordo i cui contorni erano sfumati dalla nostalgia e dal rimpianto dell’abbandono e che diventava con il passare degli anni sempre più incantevole.

Le generazioni contemporanee, invece, scelgono in modo molto più razionale di emigrare, e vivono il distacco dalla Patria in modo molto meno traumatico.
La ragione di questo diverso approccio risiede sicuramente nel fatto che la facilità delle comunicazioni attraverso il telefono ma anche attraverso Internet, non crea più il senso di abbandono e di solitudine che provavano gli emigranti fino a qualche decennio fa.

Inoltre le distanze non sono più così enormi e difficili da ricoprire, con gli attuali mezzi di trasporto si può raggiungere anche il posto più lontano della terra nell’arco delle ventiquattro ore.

In questi tempi di villaggio globale, la figura dell’emigrante italiano ha perso quell’aura di coraggio e di fascino che lo ha da sempre contraddistinto nell’immaginario comune e nella letteratura, a favore di un’immagine più concreta e razionale che ha nella voglia di autoaffermazione il movente principale.

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2 commenti

  1. Penso che ognuno di noi fuori dal paese,vicino o lontano puo travarsi in queste linee di riflessioni,basta chiudere gli occhi e pensare un po al giorno che si é preso la decisione di partire ,il giorno della partenza,l’integrazione ,la nostalgia di oggi ed il ritorno…che dirvi di più ,a color che ritornano al apese ed a colro che lo sono già e da sempre BUONE FESTE…

    • Giovanni Benincasa il 24 Luglio 2011 alle 14 h 58 min
    • Rispondi

    Qui, nel paese dove risiedo, in questi giorni si trova in visita un gruppo di emigrati negli USA. Ho anche avuto modo di conoscerli direttamente causa connessioni parentali. Devo dire che sono arrivati in Italia con una conoscenza significativamente distorta della nostra situazione generale attuale, per mille motivi, e anche perché quelli che sono partiti dal paese sono rimasti abbarbicati alla realtà che allora hanno lasciato, quindi si sono trovati abbastanza disorientati realizzando che nonostante la crisi non solo è cambiata la condizione economica generale ma anche quella socio culturale. Hanno realizzato che la nostra cultura, al pari di altri paesi, si è parecchio evoluta e che quelle situazioni da loro lasciate non esistono più. Ora, da noi come da loro, ci sono nuove situazioni di disagio economiche e socio/culturali che vanno affrontate in modo diverso da allora. Allora si trattava, nella stragrande maggioranza dei casi, di cercare prima di sfamarsi e solo una volta raggiunto questo scopo si cercava di andare oltre, mentre ora la fame nera è quasi sparita ma ci sono altre necessità che fanno paura quanto quella fame, e bisogna risolvere queste esigenze. Se non parliamo quelle centinaia di migliaia di migranti che fuggono da situazioni che vanno oltre l’umano comune sentire, oggi la parola migrare può assumere un nuovo significato e può essere accostata alla volontà di conoscere.
    Saluti!

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